L’uso bellico di un termine prezioso. Mai religiosi per paura
Ora vogliono che la si chiami «guerra di religione». Una serie di autorevoli commentatori nei giorni scorsi ha variamente sostenuto che, se in questi anni abbiamo assistito a un numero impressionante di attentati rivendicati da gruppi terroristici di matrice islamica, significa che siamo dentro una «guerra di religione». Questi fatti, uniti ad altri, dovrebbero risvegliare le coscienze cristiane del vecchio Occidente per alzare difese. Taluni rimpiangono una maggiore identità cristiana e si spingono a dire che il Papa (il Papa!) dovrebbe avere «meno dubbi» o tutt’altre consapevolezze sulla «guerra mondiale a pezzi» in corso e su chi la alimenta e mettersi finalmente a parlare in questi termini, i loro.
La questione sollevata non è proprio nuova. All’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle di New York molti si buttarono sull’idea di «guerra di religione». Oriana Fallaci lo fece. Chi scrive fu tra i pochi a difendere su questo giornale il suo pieno diritto di parola – pur non essendo d’accordo con lei – mentre il mondo culturale italiano la trattava da stupida invasata. Lo notò e ci frequentammo, continuando a dissentire. Ora molti di coloro che tacquero ne ricalcano pallidamente orme e parole. In Francia un dibattito simile divampa da tempo. All’uso del concetto di «guerra di religione» si potrebbero opporre molte osservazioni, da storia e cronaca. Molti esempi fanno capire quanto oggi ci siano pacifiche convivenze tra uomini di religioni diverse e quanti ce ne siano stati anche (e proprio) nelle terre dilaniate oggi da guerre e divenute campi di formazione ed esercitazione di “stranieri combattenti”.
L’innesco del conflitto dunque non è da cercarsi in primis dentro l’aspetto religioso. Forse, i nostri commentatori dovrebbero con più attenzione riflettere sul termine «religioso» prima di usarlo in modo vago e tranchant, per esperienze molto diverse. Qualcuno, autorevolmente, dice che il cristianesimo non è propriamente una religione. E la nozione di «guerra di religione» è non solo vaga, ma inutile. Perché tutte le guerre in un certo senso sono religiose, come lo sono anche tutte le paci, e tutti gli amori, e tutte le lotte. Insomma, religioso è l’uomo in tutte le sue azioni. Strano che una cultura che ha fatto di tutto per eliminare la dimensione religiosa autentica da ogni aspetto privato e pubblico della vita, ora pretenda di leggere come «religioso» solo un aspetto della vita umana, e il peggiore. Il fatto è che l’uomo è religioso sempre, così come è politico, economico, affettivo.
La presunta distinzione banale e fuorviante tra uomo ragionevole (e moderno) e uomo religioso (e antiquato) propria di una parte intollerante della cultura autodefinitasi «illuminata» per secoli sta mostrando la corda, contraddetta a tutti i livelli. Etichettare una guerra come «religiosa» non funziona. Se dovessimo etichettare così un conflitto perché appaiono venate di sentimenti religiosi le sue enfasi retoriche e le motivazioni esibite (non quelle reali e occulte) allora lo fu anche la Prima guerra mondiale, basterebbe leggere i discorsi di molti leader del tempo.
E non lo fu, forse, anche la Seconda? Con questo non si sta dicendo – lo capisce anche un bambino – che la religione “non c’entra” con il tragico sommovimento che va dalle bombe in Siria ai camion lanciati contro la folla a Nizza o a Berlino, e contro persone in divisa a Gerusalemme o nel Sinari egiziano. C’entra eccome, ma, appunto, si deve comprendere in che senso, e distinguere. Usare il termine religioso come aggettivo generico e totale è “fuorviante”. Si vedrebbe, ad esempio, che accanto ai deliranti proclami di martiri «in nome di Dio» (ma che spesso le indagini mostrano mossi da ben altro) ci sono le azioni vaste e fertili di uomini di pace fatte realmente «in nome di Dio», e tra questi e prima di ogni altro papa Francesco, ben attento ai tentativi di strumentalizzazione, da chiunque vengano. Si vedrebbe che gli aerei che bombardano la Siria non lo fanno certo in nome della libertà religiosa di gruppi diversi che sino a poco fa vivevano in pace.
Che le azioni o i blitz di molti governi dell’Occidente, che ora fa comodo riscoprire cristiano, non sono stati certo mossi dalla volontà di ristabilire pace religiosa in certi luoghi. Si vedrebbe che ci sono “culti”, fanatismi e idoli che sottomettono gli uomini e le donne sia in Oriente che in Occidente. E che, infine, purtroppo a una buona parte della intellighenzia che ama chiamarsi «laica» la religiosità delle persone interessa solo ora, e per paura. La quale, come sa chi è ragionevole, è una cattiva consigliera.