C'è il patto Ocse anti-elusione. Mai più troppo ricchi per pagare. E ora i furbi
Le 140 nazioni che fanno parte del gruppo di lavoro dell’Ocse sull’elusione fiscale internazionale hanno discusso per anni di come riformare il sistema. Hanno sempre ottenuto magri risultati. Almeno finché gli Stati Uniti d’America non hanno deciso che era il momento di alzare le tasse sul reddito d’impresa. Joe Biden vuole portarle dal 21 al 28% e ha bisogno che le grandi multinazionali americane non spostino la loro sede dal Paese in cerca di un 'fisco più amico'.
Arriva da qui il grande patto sulle tasse che aveva trovato lo scorso luglio un primo via libera politico e che ieri ha concluso il suo percorso all’interno dell’Ocse, con l’intesa tra 136 Paesi (sono rimasti fuori solo Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka). È un’intesa su due pilastri. Il primo obbliga le multinazionali con più di 20 miliardi di dollari di fatturato e una redditività sopra il 10% a pagare più tasse nei Paesi in cui generano i ricavi. Il secondo è la soglia del 15% come tassazione minima globale dei redditi delle imprese. Secondo i calcoli dell’Ocse il primo pilastro sposterà la tassazione di circa 125 miliardi di dollari di profitti, mentre la tassa minima globale – applicata con almeno 750 milioni di dollari di ricavi – genererà 150 miliardi di dollari di maggiore gettito.
L’approvazione finale è ormai imminente: mercoledì prossimo, alla riunione di Washington, daranno il via libera i ministri delle Finanze e i banchieri centrali del G20. A fine mese i capi di Stato e di governo del G20, al vertice di Roma, metteranno il sigillo.
Da lì comincerà una nuova storia. Ogni Parlamento sarà chiamato ad adeguare le norme nazionali a quelle Ocse. In molti casi sarà difficile. Negli Usa un gruppo di senatori repubblicani ha già scritto al segretario al Tesoro Janet Yellen rivendicando l’autonomia del Senato. In Irlanda, dove il reddito di impresa oggi è tassato al 12,5%, le nuove regole ridurranno il gettito di circa 2 miliardi di euro all’anno e la tensione è elevata (infatti Dublino, come l’Ungheria e l’Estonia, ha aderito in extremis). La Francia, che è stata tra i Paesi più determinati ad arrivare a questo risultato, vorrebbe includere le nuove norme in una direttiva europea vincolante per tutti.
Questa riforma ha seri limiti. Ad esempio la regola del 10% di redditività, intesa come rapporto tra utili e ricavi, esclude dalle nuove regole un gigante come Amazon, abituata a fare margini attorno al 5-6%. Mentre la soglia della tassa minima al 15% è oggettivamente bassa: molto inferiore alla media globale, che è attorno al 23%, e superiore a quella di soli due Paesi da 'peso economico' rilevante, cioè Irlanda e Ungheria. Se già però arrivasse la ratifica di tutti i 136 Paesi che hanno aderito, l’elusione fiscale internazionale delle grandi multinazionali potrebbe davvero diventare una stortura del passato.
Dopodiché le nazioni del G20 e dell’Ocse potranno dedicarsi a correggere altre evidenti assurdità del sistema fiscale internazionale. Magari cominciando da quei 'paradisi fiscali' che, malgrado i proclami, continuano a offrire sregolato rifugio a grandi patrimoni. Lo scandalo dei Pandora Papers, ancora una volta portato alla luce dal consorzio giornalistico internazionale Icij, ha svelato nuove quasi incredibili realtà. Come quella delle fiduciarie legalmente titolate a negare l’accesso alla ricchezza dei loro clienti a chiunque ne abbia diritto: parenti, creditori, fisco e governi. A ospitarle non è la solita isola caraibica, ma il Dakota del Sud, dove questi loschi trust amministrano fondi per 360 miliardi di dollari. Le regole che rendono possibile questa ingiustizia sono state varate nel cuore del Midwest, sotto gli enormi occhi di sasso dei quattro presidenti scolpiti nel monte Rushmore.