Tante come la pachistana scomparsa. Mai più da sole le Saman d'Italia
Le speranze di ritrovare in vita la giovane Saman Abbas si fanno sempre più deboli e mentre non c’è ancora un posto dove portare un fiore alla sua memoria, e prometterle giustizia, la tragedia che l’ha colpita sta diventando l’ennesimo pretesto per uno scontro politico e per guerre di parole.
Saman era una ragazza italiana come tante, come sono stata anche io, con le mie origini siriane e la mia fede musulmana, che fanno i conti con la bellezza, ma anche le problematiche di una doppia identità. Non tutti hanno la fortuna di avere famiglie illuminate, che investono sulla formazione dei figli e li spingono a perseguire i propri obiettivi.
Ci sono purtroppo anche ragazzi e soprattutto ragazze, che si sentono invisibili, indesiderati, incompresi, dentro e fuori casa. Tra le mura domestiche parlano una lingua, che non è solo patrimonio lessicale, diversa da quella che usano all’esterno; vivono una dimensione come sospesa nel tempo e nello spazio e che non ha nulla a che vedere con l’immaginario delle famiglie.
A volte queste ultime cercano di mantenere vive le tradizioni del Paese d’origine e non si accorgono della frattura che inesorabilmente si consuma, dovuta al cambiamento generazionale, ma anche a una diversità culturale che spesso non sono pronte ad affrontare. Quel 'da noi si fa così' in cui i figli non si sentono rappresentati, perché il loro noi è diverso, può provocare grandi sofferenze. Per i figli maschi, in questi casi, voltare le spalle alla famiglia e allontanarsi e più facile. Per le figlie femmine il discorso è sempre più complesso. Inutile girarci intorno, sul corpo e sulla mente delle donne, sin da piccole, si esercita sempre un maggiore controllo.
Le Saman in Italia sono molte e le sfide che devono affrontare sono tutte in salita: farsi accettare dai compagni, dagli amici, e dalla società, ma anche farsi accettare dalle famiglie. Non è mai facile compiacere gli uni e gli altri. A scuola avevo una compagna cristiana praticante con cui siamo presto diventate amiche e che un giorno mi aveva confidato che voleva mantenersi 'pura' fino al matrimonio, ma che poteva dirlo solo a me perché gli altri l’avrebbero presa in giro, mentre io l’avrei capita. Da persona osservante, effettivamente la capivo.
A volte ci sentivamo le ingenue del gruppo, perché gli altri ci sembravano tutti più spigliati, ma eravamo felici delle nostre scelte e il fatto che fossimo amiche ci aiutava a sentirci meno diverse. A quell’età la parola diversità fa tanta paura, mentre la parola scelta rende felici. Anche Saman voleva scegliere, aveva capito che fuori dal contesto familiare, che pare fosse molto duro, esisteva un’alternativa che l’avrebbe sottratta a un destino di sofferenza, con un matrimonio che non voleva. Forse Saman sperava che, pur non accettando le sue idee, la famiglia l’avrebbe lasciata vivere come preferiva; invece, se verranno confermate le ipotesi degli inquirenti, la disumana fine della giovane sarebbe stata premeditata e condivisa proprio da chi avrebbe dovuto esserle più vicino. In nome di chi, in nome di cosa? Perché l’islam non avrebbe accettato il legame di una musulmana con un non musulmano, o perché la comunità avrebbe isolato e mal giudicato la famiglia? Non può esistere nessuna giustificazione, si tratta di un crimine barbaro e di una violenza che non possono che essere condannate fermamente. In diversi Paesi a maggioranza musulmana si sta mettendo mano alla riforma del codice di famiglia per liberalizzare i matrimoni con persone di fede diversa, ma anche su altre questioni che sino a oggi hanno in qualche modo penalizzato le donne. Esiste cioè un fermento dal basso, per rivendicare più diritti e abolire logiche patriarcali, ma il cammino è ancora molto lungo e coinvolge solo alcuni Paesi.
Non va dimenticato che il Pakistan è stato la patria di Benazir Bhutto, tra le prime donne nella storia a ricoprire per due volte l’incarico di primo ministro, diventata poi vittima dell’odio che l’ha condannata a morte. Oggi in Pakistan matrimoni combinati e femminicidi sono proibiti e condannati dalla legge, quindi nemmeno nel Paese di origine Saman avrebbe dovuto subire quello che ha subito. Se le indagini confermeranno le terrificanti ipotesi, vorrà dire che Saman è stata brutalmente uccisa qui, nel Paese dove sognava di vivere da donna libera, dove forse le sue denunce e richieste di aiuto avrebbero dovuto essere ascoltare con più attenzione. Di Saman è piena l’Italia. Donne che chiedono aiuto, ma che vengono lasciate sole. Lo sappiamo dalla cronaca, lo vedono ogni giorno Forze dell’ordine e soccorritori. Tante volte mi è capitato, durante i turni da volontaria del 118, di aiutare donne disperate, picchiate e minacciate da mariti e familiari; donne che sentono di non avere speranza, di essere braccate, che non hanno documenti italiani per poter fuggire, e che spesso non parlano nemmeno la lingua perché tenute quasi segregate. A volte, in quelle circostanze, vedere una donna che sentono 'più vicina', aiuta a raccogliere le loro denunce e a capire cosa stanno subendo. C’è poi il passo successivo alla denuncia, che può davvero salvare una vita, che è quello del sostegno. Un sostegno che necessita di un osservatorio, di una rete, in cui si deve necessariamente lavorare insieme.