Opinioni

Burattinai e politica minuscola. Mafia Capitale, la speranza da salvare

Danilo Paolini giovedì 4 dicembre 2014
Che Roma fosse tornata «violenta» e «a mano armata», come recitavano i titoli di due pellicole "poliziottesche" della metà degli anni 70, si sapeva già: rapine, gambizzazioni, regolamenti di conti, esecuzioni. Che non fosse criminalità comune, ma qualcosa di molto più pericoloso e ramificato, qualcuno lo aveva capito e anche scritto, colleghi coraggiosi che hanno ricevuto in cambio minacce di morte e pesantissimi "avvertimenti". Ma che la Capitale d’Italia fosse la sede di un "Mondo di mezzo" (così è stata denominata l’inchiesta della procura guidata da Giuseppe Pignatone) che di fatto avrebbe manovrato sistematicamente il mondo "di sopra", cioè quello dove si prendono le decisioni politiche, è un elemento in grado di sconvolgere anche gli osservatori più disincantati ed esperti.Già, perché i romani più anziani e anche quelli di mezza età ricordano altri tempi in cui la politica non ha dato, diciamo così, il meglio di sé. Con le giunte "rosse", con le giunte "bianche", con quelle "rosa". Il famoso convegno sui mali della città, organizzato dall’allora cardinale vicario Ugo Poletti con l’indimenticabile direttore della Caritas diocesana don Luigi Di Liegro, è datato 1974. Quindici anni dopo, lo stesso Poletti parlò della «ripugnanza» che potevano avere i cattolici nel votare quella Democrazia cristiana alle elezioni comunali che si sarebbero tenute di lì a poco. Erano anni nei quali, a Roma e altrove, troppa Dc aveva smarrito lo smalto originario del grande partito popolare e si preoccupava per lo più della gestione del potere e delle poltrone. Poi, venne un generoso e faticoso tentativo di positivo ricominciamento. Quindi l’ultima, rovinosa china. Tangentopoli spazzò via tutti i partiti tradizionali che avevano governato nell’era della democrazia bloccata, tranne il discendente del Partito comunista più grande e forte dell’Occidente che di quel "blocco" era la ragione principale. Cominciava l’epoca dell’alternanza possibile e della democrazia compiuta. E cominciava proprio dai Comuni, con la rivoluzionaria legge sull’elezione diretta dei sindaci. Da quel momento, era il 1993, chi amministrava male poteva essere rispedito a casa dai suoi concittadini, con l’espressione libera e democratica del voto. È il sale della democrazia, il migliore antidoto alla corruzione nel e del Palazzo. A meno che non si scopra che nel 2014 (ma già da anni...) il palazzo, in realtà, ha la "p" minuscola e si è ridotto a fare da teatrino per burattinai che sono fuori, nei bar malfamati delle periferie come nei salotti buoni dell’Eur e di Roma Nord o nei ristoranti del centro storico e del litorale. Burattinai cinici come il Mangiafuoco di Collodi, convinti che ogni uomo abbia un prezzo. Quello che davvero conta è comprarne il maggior numero possibile, a sinistra e a destra, in modo da vincere sempre, chiunque vinca.Altro che "Il Gattopardo". Il parallelo più ovvio e perciò meno originale, ma inevitabile, è con "Romanzo criminale" (e magari con il successivo "Suburra"), il best seller del giudice-scrittore Giancarlo De Cataldo che ha poi ispirato un film e una serie tv di successo. Al netto degli elementi di fantasia, si tratta della trasposizione narrativa dell’infausta storia della banda della Magliana, di cui i protagonisti di oggi sono in qualche modo gli eredi, se non altro perché capitanati da Massimo Carminati, uno che della banda ha fatto parte. Il titolo giusto per quanto sta saltando fuori dalle indagini sarebbe, tuttavia, "Morte di una speranza di democrazia". Ma questo, purtroppo o per fortuna, non è un romanzo. La magistratura sta facendo ciò che deve. Sta alle parti oneste della società, delle istituzioni, dei partiti - che pure esistono - non lasciar morire la speranza.