Opinioni

Le ambizioni. Macron ha un sogno illuminista: la Francia faro dell'europeismo

Daniele Zappalà venerdì 29 aprile 2022

Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron

Mancano ancora 2 anni, ma molti promettono da tempo che sarà degna della Francia e memorabile: grandeur oblige. In effetti, oltralpe, si parla già dell’apertura fluviale sulla Senna delle prossime Olimpiadi, dopo un secolo d’assenza da Parigi, la città di quel barone Pierre de Coubertin che riesumò l’antica tradizione, trasformata in simbolo contemporaneo irenistico. Ma da qui a quell’inaugurazione, prevista il 26 luglio 2024, si sarà del tutto spento l’orrore della guerra in Ucraina? A chiederselo, naturalmente, è pure un certo Emmanuel Macron, 44 anni, appena rieletto all’Eliseo, a scapito della tanto temuta sfidante ultranazionalista Marine Le Pen. Ormai, quelli del 2024 saranno pure i Giochi dell’europeista Macron e non è proibito ipotizzare, dietro all’attivismo diplomatico in corso del capo dell’Eliseo, pure le prime sfuggenti apprensioni in vista di quell’appuntamento grandioso volto a simbolizzare la pace.

Certo, il presidente è già riuscito a scongiurare l’imbarazzante ipotesi di un’apertura dei Giochi sotto l’egida di una leader dell’ultradestra xenofoba. Ma l’energico Macron aspira a ben altro. C’è un sogno neoilluministico macroniano per l’Europa, con Parigi chiamata a brillare come un faro per le genti quantomeno del continente. Lo si era già capito nel settembre 2017, quando il neopresidente all’epoca appena 39enne scelse un luogo culturale dal grande impatto simbolico per lanciare l’ambiziosa «Iniziativa francese per l’Europa». Durante l’evento, rispondendo ad Avvenire su un punto non chiaro nei piani di Parigi, l’ipotesi di un’estensione dell’Erasmus anche ai liceali, Macron non esitò ad assicurare che si trattava di una prospettiva realistica e praticabile, suscitando grandi applausi nell’Aula Magna del blasonato ateneo.

I nsomma: estendere al continente la vecchia utopia di pace parigina rappresentata ancor oggi dalla Cité internationale universitaire, con tutte le 'case' nazionali piene di studenti riunite attorno allo stesso giardino, all’insegna della comprensione e della tolleranza, dando ancora il batticuore a qualche sincero decoubertiano. Ma 5 anni dopo, ad essere riconfermato all’Eliseo è un leader reduce da una sequenza fulminante di 3 crisi: quella sociale interna dei gilet gialli (dall’autunno 2018), prima della bufera Covid, seguita dagli orrori bellici, con tutti i connessi contraccolpi pure economici. Le prime due crisi non si sono affatto spente, ma sono state tamponate, almeno provvisoriamente. L’europeista Macron si è così gettato diplomaticamente a capofitto sul fronte orientale, tanto più in questo semestre di presidenza francese dell’Ue. Dopo innumerevoli telefonate ai quattro angoli del pianeta e uno scalo a Mosca il 7 febbraio per ritrovarsi con un Vladimir Putin gelido all’altro capo dell’ormai famigerato 'tavolo bianco', Macron non demorde. Certo, fa uno strano effetto il telegramma di auguri di «salute» giunto dal Cremlino per la rielezione all’Eliseo. Ma Macron non spezzerà in ogni caso il filo di dialogo con Mosca, come ha esplicitamente promesso: «A un certo punto, ci sarà un cessate il fuoco e l’Europa sarà attorno al tavolo. Se non avremo parlato con Putin, i negoziatori saranno i cinesi o i turchi».

La quadratura del tragico cerchio europeo resta lontana, ma il capo dell’Eliseo proverà ancora a metterci del suo. E non a caso, i primi passi e luoghi del secondo mandato hanno sottolineato simbolicamente in modo lampante l’attuale coesistenza del Macron idealista 'prima maniera' e del Macron realista degli ultimi tempi. L’uscita da vincitore senza trionfalismi, domenica sera, è stata ai piedi della Tour Eiffel: ovvero il luogo che è al contempo il simbolo supremo delle mai perdute aspirazioni illuministiche di Parigi (fascio di luce proiettato di notte dal vertice della torre), ma anche il più efficace 'display' urbano di un continente in crisi, data la recente colorazione blu e gialla in onore dell’Ucraina martoriata.

Subito dopo, per la prima notte da presidente rieletto e per cominciare le consultazioni d’abbrivio del nuovo mandato, Macron si è ritirato in un altro luogo 'bivalente' sul piano simbolico, la dimora presidenziale secondaria della Lanterne, nel perimetro della Reggia di Versailles. Si badi bene: non l’edificio dorato visitato ogni anno da milioni di turisti, emblema del vecchio assolutismo, ma una dépendance nel parco. Lo stesso parco dei celebri 'giochi d’acqua' d’ispirazione mitologica greca, ancor oggi visitabili, simbolo dell’ingegno e dei progressi della Francia. Ma al contempo, pure il parco nel cui perimetro furono firmati, dopo l’immane ed epocale 'macelleria' della Prima Guerra Mondiale, i trattati di pace anche controversi che ridisegnarono fra l’altro la carta politica dell’Europa.

Parlando sotto la Tour Eiffel e ritirandosi poi nel Parco di Versailles, Macron ha dunque suggerito pure il senso della perigliosa azione diplomatica e geopolitica francese a venire, che rimarrà sospesa proprio fra residuo idealismo illuministico- decoubertiano e tragico realismo euro-ucraino. Cronologicamente, il giro di boa del 'Macron 2' giungerà proprio al momento dei Giochi parigini del 2024, quando si capirà se uno dei due piatti della bilancia ha finito per prevalere. E proprio a una bilancia assomiglia già questo secondo mandato macroniano, cominciato di corsa. Perché occorre evitare, dal punto di vista francese, che l’Europa-sogno promossa fin dall’inizio dell’era Macron degeneri ancor più in un’Europa-incubo.

Fin dall’epoca del neogollista Jacques Chirac – il capo dell’Eliseo del cambio di millennio al quale Macron 'succede' fra i presidenti capaci di farsi rieleggere – , Parigi ha ben capito di non pesare più di tanto, in questo XXI secolo, senza avvalersi di tutto il peso dell’Unione Europea. Una 'dottrina' esplicitata tante volte da Macron, il cui europeismo è certamente molto condizionato da questo calcolo 'francocentrico'. Ma in queste settimane di drammatici ribollimenti, molte delle 'geometrie' geopolitiche vecchie e nuove più care alla Francia (equilibrio in Europa con la Germania, dialogo privilegiato con l’Italia, atlantismo sempre misurato, relazioni strette e «costruttive» con l’Africa, presenza nell’Oceano Indiano, influenza all’Onu, ruolo guida nella 'diplomazia climatica') sono messe a dura prova e rischiano persino di frantumarsi.

Macron sente già che le sfide in vista costeranno tutte tanto sudore. E a forza di sbracciarsi, più che a un aspirante novello 'Re Sole', il capo dell’Eliseo assomiglia sempre più a un saltatore con l’asta deciso a coronare un 'sogno olimpico' in formato XXL: accanto a un’indubbia vanità personale e agli innegabili interessi nazionali, a tratti si avvertono pure moventi più profondi non facili da decifrare. Sincere aspirazioni pacifiste? Difficile crederlo del tutto, tenendo a mente l’export record d’armamenti francesi nel mondo. La voglia di lasciare una traccia? Forse pure un po’ di questo. I n ogni caso, per farcela a issarsi lassù, il capo dell’Eliseo sa bene che l’unica 'asta' affidabile è un europeismo di ferro. Anche per questo, fra i messaggi d’auguri appena ricevuti, il più gradito al presidente è stato probabilmente quello inviato dall’omologo Volodymyr Zelensky: «Congratulazioni a Emmanuel Macron, un vero amico dell’Ucraina, per la sua rielezione! Gli auguro un ulteriore successo per il bene del popolo francese. Apprezzo il suo sostegno e sono convinto che ci stiamo muovendo insieme verso nuove vittorie comuni. Verso un’Europa forte e unita!».