Opinioni

Milano. Macchi, all'ombra di Paolo VI un protagonista della Chiesa

Ettore Malnati giovedì 9 novembre 2023

Monsignor Pasquale Macchi (Varese, 9 novembre 1923 - Milano, 5 aprile 2006)

L’Arcidiocesi di Milano e la città di Varese hanno voluto ricordare il centenario della nascita – che cade proprio oggi – dell’arcivescovo monsignor Pasquale Macchi, fedele segretario di Montini da arcivescovo di Milano e da Pontefice sino alla morte avvenuta a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978. Anche Avvenire, che ebbe una concreta attenzione sia da Paolo VI che da Macchi, vuole onorare la memoria di Macchi, prete ambrosiano dinamico e discreto, ma sempre attento per una Chiesa in ascolto di quella modernità amata dallo stile dei pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI e dal Concilio.

Macchi si formò nei seminari milanesi e si specializzò in teologia e in letteratura moderna con una tesi su « Bernanos e il problema del male» all’Università cattolica, per essere destinato all’insegnamento nel Seminario di Seveso dopo l’ordinazione presbiterale, avvenuta per l’imposizione delle mani del beato cardinale Ildefonso Schuster, il 15 giugno 1946. Le primizie del suo ministero le troviamo presso i carcerati della casa circondariale di Varese. Da segretario di Montini a Milano, Macchi si adoperò per la preparazione della grande Missione cittadina, per le visite pastorali alle parrocchie e alle fabbriche, per la presenza dell’arcivescovo tra i carcerati. Fu animatore del cenacolo degli artisti di Villa Clerici, con l’attenzione al recupero dei minori che erano in custodia per aver commesso azioni criminose. Fece conoscere e apprezzare al nuovo arcivescovo, di origini bresciane, la singolarità della liturgia ambrosiana, le tradizioni e le devozioni del popolo della riforma del grande Borromeo. Montini affidò a don Macchi e a monsignor Corbella l’incarico di coordinatori per le nuove chiese della periferia milanese, per offrire adeguati luoghi di culto e strutture aggregative per le migliaia di immigrati trasferiti a Milano per lavoro con le famiglie, sapendo coinvolgere architetti e artisti.

Appena eletto Papa, Montini volle che la prima sua benedizione fosse per la mamma di don Pasquale, confermato suo segretario particolare. Gli venne anche affidato il compito di organizzare i viaggi apostolici del Pontefice, cominciando con il pellegrinaggio in Terra Santa, prima presenza di un Papa nella Terra di Gesù, dove predispose anche l’incontro a Gerusalemme con il Patriarca ecumenico Atenagora, con il quale rimase sempre in rispettoso e amichevole collegamento. Per l’invito dell’Onu in occasione del 25° della sua fondazione, il Santo Padre chiese al suo segretario di trovare un prezioso dono artistico per la sede delle Nazioni Unite. Don Pasquale si recò a Parigi dalla famiglia del pittore Georges Rouault e scelse un volto di Cristo. L’idea e la realizzazione del Museo di arte contemporanea in Vaticano si devono proprio a Macchi, che si prodigò con i vari artisti per ottenere da ciascuno un’opera. La stessa Aula Nervi, oggi intitolata a Paolo VI, fu voluta e arredata con la costante cura di Macchi che, oltre alla realizzazione della grande scultura di Pericle Fazzini della Resurrezione, avrebbe voluto per il rosone ovale una vetrata di Chagall.

Durante il rapimento Moro, avvenuto il 16 marzo 1978, Macchi fu a fianco di Paolo VI per trovare una soluzione per liberare lo statista. Si recò più volte da Andreotti, e sembrò che la liberazione potesse avvenire con il versamento di un forte riscatto, e col consenso del Papa cercò anche di reperire la somma. Venne coinvolto il cappellano di San Vittore, don Cesare Curioni, perché verificasse la praticabilità di questa ipotesi. Al Papa giunse il 21 aprile la lettera di aiuto da parte di Moro: la situazione si faceva disperata. Il Papa confidò a Macchi di voler indirizzare una lettera alle Brigate Rosse, nonostante le perplessità della Segreteria di Stato. Più volte durante la notte Macchi fu accanto al Papa, che volle scrivere a mano, correggendo e rifacendo più volte lo scritto, che porta la data del 21 aprile 1978. Anche dopo questa lettera Macchi si adoperò per cercare un contatto con persone vicine alla Br. Purtroppo il 9 maggio venne rinvenuto il cadavere di Moro.

Paolo VI si spense a Castel Gandolfo il 6 agosto 1978, con l’assistenza spirituale, il sacramento degli infermi e il viatico da parte del suo fedelissimo segretario. Dopo la morte del Pontefice, quale suo esecutore testamentario, Macchi si occupò degli scritti e di ciò che Paolo VI aveva lasciato in beneficenza per i poveri e per le varie istituzioni. Don Pasquale tornò in diocesi di Milano dopo aver aiutato Giovanni Paolo I a organizzare la sua segreteria particolare e fece vita comune con i Paolini dell’Opera cardinal Ferrari, mettendo la sua residenza presso la Casa di Redenzione sociale di Villa Clerici a Niguarda. I l 15 ottobre 1980, su nomina del cardinale Martini, divenne arciprete del Santuario del Sacro Monte di Varese e si adoperò per ridare impulso alla vita spirituale di un luogo tanto caro alla pietà del popolo lombardo, volendo anche che ogni sabato mattina vi fosse regolarmente la recita del Rosario lungo il tragitto delle 14 cappelle, iniziativa che regge tutt’oggi. Grazie al suo amore per l’arte si premurò sia di restaurare tutte le cappelle della Via Sacra che di riqualificare il Museo Baroffio del Santuario con opere di artisti moderni. Ottenne la visita di Giovanni Paolo II il 4 novembre 1984, alla cui preparazione anch’io partecipai. La sera del 4 dicembre 1988 verso le 23, l’ora consueta in cui monsignor Macchi mi chiamava al telefono per confrontarsi su quanto stavamo facendo sugli scritti di Paolo VI, dopo i convenevoli mi disse: « Avrei bisogno che tu venissi al Sacro Monte per la predicazione della messa del pomeriggio dell’Immacolata». Partii da Trieste e arrivai verso le 14, passando dalla chiesa, scesi nella canonica. La signora Teresa ci fece il caffè e poi don Pasquale chiese di parlarmi in privato. Mi disse che aveva cercato di dissuadere il Santo Padre, ma non c’era stato verso, e quindi il 10 dicembre sarebbe uscita la sua nomina ad Arcivescovo delegato Pontificio di Loreto. Mi chiese di pensare al motto del cartiglio episcopale. Ciò che feci.

Fu ordinato nella Basilica di San Pietro il 6 gennaio 1989 da Giovanni Paolo II, con l’ingresso a Loreto il 4 marzo. I primi passi non furono facili, la sua salute fu segnata, poi si riprese. Non gli negai la mia costante collaborazione a distanza, recandomi anche da Trieste a Loreto ogni 15 giorni. Molte furono le opere e le iniziative pastorali da lui proposte e realizzate per Loreto: il restauro della parte marmorea della Santa Casa e la dotazione al Santuario di un grande organo Mascioni; il restauro del Palazzo apostolico e della facciata della Basilica; la ristrutturazione del presbiterio con le opere dell’artista Floriano Bodini, mentre per la Santa Casa volle il tabernacolo e i candelieri di Mario Rudelli. Invitò e accolse il 10 dicembre 1994 Giovanni Paolo II a conclusione della grande Preghiera per l’Italia. Nel settembre 1995 si adoperò per ospitare a Loreto l’incontro dei giovani d’Europa con la presenza di Giovanni Paolo II e adibì l’area di Montorso a luogo dell’evento internazionale. In quegli anni lauretani Macchi continuò a seguire personalmente la raccolta delle testimonianze per la causa di beatificazione di Paolo VI. Per ben otto anni, da agosto a ottobre, ho lavorato con lui per reperire, confrontare e incontrare i testimoni sparsi in molti Paesi. Non mancò mai ai colloqui internazionali dell’Istituto Paolo VI. Nel 1996 presentò la rinuncia del servizio episcopale quale Delegato di Loreto e si ritirò, grazie all’ospitalità generosa delle Monache Romite ambrosiane, nel monastero della Bernaga (Lecco), voluto da Paolo VI. Lì fu non solo per lui un cenobio di spiritualità ma anche luogo di studio e di lavoro per far conoscere magistero e spiritualità di papa Montini. Diverse persone ricorrevano a lui per consigli e direzione spirituale. Preparò e diede nella cappella del Monastero la prima Comunione al beato Carlo Acutis, giovane innamorato dell’Eucaristia.

Monsignor Macchi si spense il 5 aprile 2006 a Milano nella clinica Capitanio, con il conforto della visita del cardinale Dionigi Tettamanzi, che era stato suo alunno nel Seminario di Seveso. Ora riposa, per sua volontà, nel cimitero di Casciago (Varese), non lontano dai suoi genitori e dal fratello Carlo. Macchi non dimenticò mai il grande dono – come sottolineava – di aver vissuto accanto a Paolo VI, dal quale aveva appreso l’amore alla Chiesa, ai poveri e agli artisti.