Si dice che da un male può anche venire un bene. Dal gran male dei roghi tossici nella 'terra dei fuochi' in vent’anni sono venuti solo altri mali. Terribili, pagati da tutti, anche da chi ha avvelenato la propria terra e la propria gente pensandosi invulnerabile o semplicemente, cinicamente, più furbo di tutti («inquiniamo le falde? E vabbuò, tanto noi ci beviamo l’acqua minerale...», dice uno dei gestori degli "inceneritori della camorra" in un indimenticabile dialogo agli atti delle inchieste). Dal male minore, imprevedibile e incomprensibile di una solenne e formalistica sfuriata del prefetto di Napoli contro il parroco - e nostro collaboratore - don Maurizio Patriciello "reo" di aver definito solo "signora" il prefetto di Caserta verrà forse un piccolo bene se un altro po’ di giornali apriranno gli occhi sulla «lenta strage» (come l’ha definita in una lettera una nostra lettrice) che continua nella fascia di territorio tra Napoli e Caserta dove la malavita organizzata brucia incessantemente rifiuti tossici provenienti da tutta Italia e anche dall’estero.
Questo giornale ne ha fatto una campagna informativa martellante nel corso dell’estate, sostenendo la rinnovata voglia di reagire di tanta gente semplice e dando ampio rilievo alla mobilitazione solidale promossa dalle Chiese locali e da associazioni e comitati senza paura e senza secondi fini propagandistici. Proprio oggi, poi, va in pagina la quarta e (per ora) ultima puntata della sconcertante e, per certi aspetti, sconvolgente inchiesta che abbiamo sviluppato sui 'traffici tossici' che stanno alla base dello scandalo dei 'roghi tossici' e di altre nefandezze.
Speriamo davvero, allora, che da questo piccolo male venga un bene vero sul fronte del grande male, che venga una svolta di attenzione e di contrasto senza tregua agli avvelenatori della 'terra dei fuochi'. Se invece venissero solo polemiche, manfrine e 'ammuine', saremmo al trionfo dell’ipocrisia. Dopo il trionfo del formalismo celebrato da un alto funzionario dello Stato che ha sbagliato clamorosamente bersaglio, avremmo una piccola tempesta di parole senza seguito, che non aiuterebbe a spazzare via l’incubo che grava sulla vita di famiglie e comunità che lo Stato non ha saputo sinora difendere da prepotenti che assassinano un popolo e una terra. Non ci sono scuse da chiedere o da accampare, ma gesti da fare. Gesti di legalità, gesti di solidarietà, gesti di ordine pubblico, gesti di pulizia, gesti che diventino una felice normalità in un pezzo d’Italia abbandonato dalla legge, ma non da Dio. Don Maurizio questo chiede ora e questo chiedeva ieri. Lo chiede con la sua gente, sostenuto dal suo vescovo e dagli altri vescovi di questa sua bella e martoriata terra. Ma la risposta tarda terribilmente ad arrivare. E per questo, tutti l’abbiano chiaro, non ci sono scuse possibili.