Opinioni

Antisemitismo. Il caso Anna Frank non è una grottesca questione di stadio

Anna Foa venerdì 27 ottobre 2017

Il nuovo caso di antisemitismo, ferite aperte e gravi Il dibattito pubblico sull’oltraggio compiuto dalla tifoseria laziale all’immagine di Anna Frank anziché placarsi si esaspera, toccando toni grotteschi in cui il rimedio è ormai di gran lunga peggiore del male. E bene hanno fatto le istituzioni ebraiche a prenderne le distanze (non tocca agli ebrei, ma ai non ebrei parlare), non solo tenendo smorzati i toni sul fatto in sé, ma anche non presenziando all’omaggio del signor Lotito alla lapide dei deportati, la “sceneggiata” appunto di cui ha improvvidamente parlato, e tacendo su altre iniziative del tutto inutili, anche se permeate di buona volontà queste, come il dono del “Diario” ai giocatori. Nessuno leggerà mai, immaginiamo, un libro donatogli in queste circostanze, nessuna lettura può essere obbligata. Il posto dove si deve leggere, dove i giovani si formano, è la scuola.

Ci sarebbe, in realtà, anche la famiglia, ma una parte sempre più grande del mondo delle famiglie appare troppo distratta per occuparsi dell’educazione morale e civile dei figli. Certo non è lo stadio. Perché lo stadio è divenuto, e non da ora, la punta di un iceberg di un fenomeno molto più vasto rappresentato dall’incultura generalizzata, dall’analfabetismo di ritorno, dalla protesta indiscriminata, dalla violenza. Nello stadio vengono consentiti e di fatto tollerati comportamenti che altrove ricadrebbero sotto i rigori della legge. Fuori dagli stadi i poliziotti incaricati di mantenere l’ordine finiscono, nelle partite più a rischio, per avere la peggio contro i tifosi scatenati. Le città diventano ostaggio delle tifoserie italiane e straniere in trasferta, e a chi non partecipa di questa violenza ormai rituale non resta che chiudersi in casa.

Nello spazio senza regole – o munito di regole sue proprie – dello stadio tutto diventa lecito, e nel caso viene punito non dalle leggi dello Stato ma da quelle dello stadio. Sono anni che i giocatori africani vengono sbeffeggiati e insultati, che le scritte antisemite troneggiano sugli spalti, che le tifoserie rivali si aggrediscono come se fossero in guerra. Ma nello stadio troviamo soltanto, estremizzati, i comportamenti che sempre più prendono piede nella nostra società: il razzismo, ormai dilagante, l’antisemitismo riemergente, l’indifferenza ostile e persino l’odio che si legge nelle facce di certi passanti, pronti a travolgere neonati e invalidi pur di passare per primi nella strada. È a questo clima che dobbiamo soprattutto guardare. Lo stadio non fa che rifletterlo alla decima potenza. Negli stadi, nei confronti dei comportamenti violenti come di quelli razzisti e antisemiti, serve che le leggi siano osservate.

Nella società, invece, serve ben altro. Serve che la droga – penso alla cocaina che ormai si trova dappertutto e di cui nessuno osa nemmeno più parlare – non sia più tollerata; che la cultura dell’odio sia piano piano debellata; che le persone smettano di guardarsi soltanto nel cellulare e si parlino l’un l’altro; che si ricominci a leggere libri, che la cultura ridiventi, da disvalore, valore.

Che le scuole ritornino a essere pienamente un luogo di studio e di confronto, non anche e insopportabilmente di bullismo e di violenza. E gli stadi, chiudiamoli almeno per un po’. Se questa è, sul lungo periodo, l’unica strategia possibile, come dobbiamo considerare il fatto che il volto di una bambina ebrea morta in un campo sia dileggiato e insultato? Ignoranza o antisemitismo? Non è la prima volta che Anna Frank diventa un bersaglio dell’antisemitismo. Il “Diario” di Anna è stato già da tempo accusato dai negazionisti di essere un falso, colpendo in lei ciò che soprattutto li disturbava: che con lei era iniziata la memoria della Shoah, che il suo “Diario” aveva aperto la strada al ricordo di ciò che era stato, alla scrittura che ne avevano dato i sopravvissuti, ai monumenti che i posteri avevano eretto per loro.

Per questo Anna è diventata un bersaglio degli antisemiti. I tifosi autori di questo gesto si collocano non nel campo delle ragazzate ma in quello dell’antisemitismo. E così anche chi definisce “una sceneggiata” il gesto di collocare una corona di fronte alla lapide dei deportati, sulla facciata della Sinagoga.