Ma non come macchina. Francesco e l'altra economia
In un momento storico di grande disorientamento come quello che stiamo vivendo, papa Francesco continua a costituire un punto di riferimento a cui guarda il mondo intero.
In una lunga intervista uscita ieri su “Il Sole 24 Ore”, il Santo Padre si è rivolto agli imprenditori e al mondo dell’economia proponendo una visione positiva che parte dal primato della persona umana rispetto al profitto e alla efficienza.
Per nulla a disagio nel confrontarsi con temi in apparenza lontani, Francesco riesce, ancora una volta, a far vedere come il Vangelo e la Dottrina sociale della Chiesa riescono a offrire una chiave di lettura fondamentale per affrontare i problemi che abbiamo davanti. E se si considerano i consensi che l’intervista ha suscitato, si direbbe che Francesco è stato capace di cogliere nel segno.
La linea del Papa è quella già sviluppata nella Laudato si’. Lo sviluppo tecno-economico contemporaneo ha ormai raggiunto un livello di avanzamento tale da rendere inestricabile l’intreccio tra i rischi e le opportunità. La progressiva distruzione dell’ecosistema, le inaccettabili disuguaglianze nei e tra Paesi, il cronico disordine finanziario, i forti squilibri demografici, i violenti conflitti che intrecciano interessi economici e politici sono tutte problematiche che derivano dalla stessa radice: quella che insiste in modo unilaterale su una concezione individualistica dell’esistenza umana, tutta schiacciata sul piano materiale e su soluzioni di tipo tecnico. Una prospettiva che sottovaluta sistematicamente la portata del problema che dobbiamo affrontare. Che è prima di tutti antropologico e spirituale.
Affermare la primazia dell’uomo e della sua singolare esistenza non è una generica formula retorica, ma un criterio per fissare priorità e trovare soluzioni diverse da quelle prevalenti – che hanno creato la situazione nella quale ci troviamo.
È ormai chiaro a tutti che la crisi del 2008 – di cui ricorrono proprio in questi giorni i 10 anni – ha segnato una discontinuità storica. È vero che da allora le economie di tutto il mondo hanno superato i momenti più difficili, dimostrando una buona capacità di resilienza; ma è altrettanto vero che quelle stese economie non sono più riuscite a risolvere i problemi umani da loro stesse prodotti. Da qui la crescita di un forte malcontento che circola in ampi strati della popolazione, che arriva fino a intossicare la democrazia. La crescente insofferenza nei confronti dei migranti è una manifestazione (preoccupante) di questo clima di tensione.
A sconcertare è soprattutto l’assenza, nel dibattito pubblico, di una risposta positiva, capace di guardare avanti e di scorgere le opportunità che pure la crisi nasconde.
Ma se è così, è perché ci si ostina a guardare il problema nella prospettiva sbagliata. A questo proposito, vale la pena citare un grande pensatore (non credente) come Max Weber, il quale – opponendosi al materialismo marxiano – un secolo fa sosteneva che lo sviluppo economico altro non è che la traduzione materiale della crescita spirituale (e culturale) di un popolo. Francesco ricorda questa verità: l’economia non è una macchina di cui gli uomini sono gli ingranaggi, che va semplicemente resa più efficiente. Essa è piuttosto una costruzione storico-istituzionale che, con soluzioni diverse nel tempo e nello spazio, serve per accrescere il benessere materiale della popolazione, ma soprattutto per valorizzare quella “genialità creativa” che contraddistingue il genere umano. Per questo il tema del lavoro deve tornare al primo posto: è dal contributo di ciascuno che si deve ripartire. Alla fine, la crescita economica è solida solo se si fonda sulla crescita delle persone.
Né ci può essere crescita economica senza sviluppo sociale e culturale. Che concretamente vuol dire: investimento nella educazione e formazione dei giovani, contratti di lavoro sufficientemente stabili e premiali, ragionevole protezione per i rischi della vita (malattia vecchiaia, etc,), forme di solidarietà sociale basate sulla equa redistribuzione della ricchezza; rispetto dell’ambiente e di tutto ciò che economico non è (a cominciare dalla religione). Se ci pensiamo bene, non passa proprio dalla nostra capacità di dare risposta a tali questioni la sfida che la lunga crisi si porta dietro? Da qui, allora, l’invito del Papa: tornare a guardare l’economia a partire dall’uomo è una indicazione quanto mai attuale.
Di ciò il mondo ha bisogno come il pane. Dato che per poter navigare nei mari tempestosi della globalizzazione avanzata è necessario tornare a produrre insieme valore (economico, ma anche sociale, relazionale, culturale etc.). A tutti noi – cristiani e uomini di buona volontà – tocca il compito di rendere questa ispirazione il nuovo modo condiviso di guardare ai problemi di questo tempo. Solo così da una situazione difficile potrà fiorire un nuovo rinascimento. Difficile certo. Ma non è forse proprio la capacità di essere lievito uno dei frutti più preziosi della speranza cristiana?