Opinioni

Un punto chiave e tre nodi. Stati generali, ma la visione sia politica

sabato 13 giugno 2020

Gli Stati generali che cominciano questa mattina a Villa Panfili sono l’ultimo atto di una serie di iniziative che il governo Conte ha assunto negli ultimi mesi. Di fronte alla complessità dei problemi che si devono risolvere e alla debolezza dei partiti – che non hanno più al loro interno classi dirigenti capaci di elaborazioni di pensiero adeguate – la politica cerca una stampella nel dialogo con i tecnici.

Un bisogno particolarmente avvertito proprio da Conte, premier senza partito, che deve cercare presso l’opinione pubblica e le stesse forze politiche una legittimazione che da solo non potrebbe darsi. I punti critici di questo dialogo tra politica e tecnica sono molti. E tuttavia non si può non cogliere il tentativo di stabilire una relazione più sensata rispetto al passato (con i famigerati 'governi tecnici') tra due mondi che costituiscono elementi fondamentali del nostro tempo.

La riflessione degli esperti può certamente aiutare la politica a prendere decisioni avvedute. Ma rimane il fatto che le scelte da fare sono squisitamente politiche.

Come anche l’Ocse ha certificato, la pandemia ha causato la più grande crisi economica e sociale del secondo dopoguerra. Il dissesto globale è talmente profondo che ci vorrà tempo per risalire la china e riassorbire la disoccupazione e la povertà che ne sono derivate.

Villa Panfili, dove si svolgono gli Stati Generali - Ansa

Potremmo dire, considerando la storia del Novecento, che la scelta che abbiamo davanti è tra gli anni 20 e gli anni 50. La Prima guerra mondiale – che si concluse con la drammatica influenza 'spagnola' – fu seguita da un decennio di confusione istituzionale e malessere sociale. Il grande disordine economico e finanziario costituì il terreno sul quale si svilupparono le ideologie nefaste del nazismo e del fascismo, che condussero poi alla Seconda guerra mondiale. Così, a disastro seguirono disastri ancora più grandi.

Gli anni 50, invece, diedero una risposta positiva a una lunga stagione di odio e di morte. Il segreto fu la capacità di incanalare il desiderio diffuso di lasciarsi alle spalle gli orrori delle dittature e della guerra in una cornice istituzionale – economica, politica, culturale – in grado di mettere al lavoro le tante energie positive presenti nella società. Così, gli anni 50 aprirono un nuovo ciclo di prosperità economica, inclusione sociale e stabilità politica basata su tre pilastri: la scelta democratica, con il rifiuto netto di tutte le forme di totalitarismo; la visione dell’economia (e delle sue istituzioni regolative) fondata su una relazione delicata ma preziosa tra il mercato e lo Stato; l’Alleanza atlantica, con una solidarietà internazionale che si tradusse concretamente nel Piano Marshall, formidabile propulsore del rilancio economico.

Anche oggi per tenere insieme la ricostruzione economica e la coesione sociale non bastano misure ordinarie. Ci vuole – come afferma lo stesso premier – una 'visione', cioè un’idea del mondo, costituta da pochi elementi essenziali – e perciò politica, e non certo tecnica – capace di dare forma a fatti istituzionali ed economici concreti. Non si tratta di inventare niente. Piuttosto, di mettere a fattor comune quanto si sta già muovendo dentro la società, l’economia, la cultura. Ma prima ancora, nei nostri cuori e nelle nostre menti.

E almeno tre sono le questioni cruciali. Primo: è ormai diffusa la sensibilità verso un modello sostenibile di sviluppo. È l’ora di decidersi, usando come bussola il documento internazionalmente più autorevole e accreditato che è la Laudato si’ di papa Francesco. Una sostenibilità integrale, che si declina nelle dimensioni economica, ambientale, sociale e umana.

Secondo: l’Europa. Negli ultimi mesi l’Unione Europea ha compiuto passi enormi e il suo impegno finanziario per il futuro (con il programma Sure, il Next Generation Fund e il Mes rivisto) è il presupposto per rendere possibile la ripresa nei prossimi anni – a condizione ovviamente di non dilapidare le risorse a disposizione.

Terzo: un patto tra le generazioni, centrato sul valore della persona, che difenda la fragilità degli anziani ma al tempo stessa investa sui giovani. Ciò significa, molto concretamente, archiviare definitivamente l’idea di una crescita puramente individualistica e consumeristica. Un’idea che, come abbiamo visto, distrugge il mondo, schiavizza l’uomo, spezza l’alleanza tra generazioni e con la natura. Il futuro si riapre tornando a mettere al centro l’investimento. Nelle infrastrutture, certo. Nelle tecnologie, certo. Ma prima di tutto, e fondamentalmente, nelle persone. Che vuol dire nella scuola, nella sanità, nella famiglia, nelle reti solidali, nella libera iniziativa. La visione per aprire un nuovo ciclo ha bisogno della tecnica. Ma ha soprattutto bisogno di una politica che sia capace di dare cornice istituzionale al nuovo spirito che aleggia nella nostra società. Sostenibilità, Europa, centralità (vera non retorica) della persona.