Opinioni

Proiettili per mamma Teresa e la sua famiglia. Ma la 'ndrangheta non spegne la memoria

Antonio Maria Mira mercoledì 23 maggio 2018

Tre proiettili per tappare la bocca alla mamma e ai tre fratelli di una giovane vittima innocente della ’ndrangheta. Sono giunti due giorni fa per posta a Teresa Lochiatto, madre di Pino Russo Luzza. Nella busta, recapitata nella casa di Acquaro, nelle Preserre vibonesi, c’era anche metà foto di Pino. L’altra metà, con altri due proiettili, è giunta invece a Vibo Valentia all’avvocato della famiglia, Marco Talarico. Un chiaro messaggio intimidatorio nel quale i mafiosi vogliono dire che la famiglia Luzza è andata troppo oltre. Ma oltre che cosa? Per i mafiosi chiedere verità e giustizia evidentemente è andare oltre. E il messaggio è fortemente simbolico.

La lettera è indirizzata alla «vedova Teresa Lochiatto», mentre il signor Luzza è vivo. E poi i tre proiettili. Tre come i fratelli di Pino: Maurizio, Franco e Matteo. Proprio quest’ultimo aveva inviato una lettera al nostro direttore che era stata pubblicata sul giornale il 13 aprile con una sua risposta. «La forza delle (vere) donne di Calabria contro i feroci messaggi della ’ndrangheta», il titolo. E vengono i brividi a rileggere quel dialogo oggi, dopo questo nuovo messaggio. Matteo Luzza aveva scritto prendendo spunto dall’arresto di alcune donne di ’ndrangheta, ma anche dall’autobomba che l’11 aprile a Limbadi aveva ucciso Matteo Vinci. In particolare sottolineando la figura della madre del giovane ucciso che, aveva scritto, «ci insegna ancora di più, ancora una volta che cosa significano resistenza, resilienza e speranza». Un esempio di «vere donne di Calabria», aveva risposto il direttore, «capaci di avere voce, fermezza e amore per resistere all’assedio della prepotenza e della morte e per mantenere salda la memoria dei propri cari». Come ha fatto mamma Teresa alla quale la ’ndrangheta ha strappato il figlio Pino, appena 20 anni, perché si era innamorato di una ragazza, cognata del boss Antonio Gallace, oggi all’ergastolo con sentenza resa definitiva dalla Corte di Cassazione. Un amore vietato: la giovane donna era 'proprietà' del boss.

Così il giovane fu ucciso brutalmente dai killer. Dopo essere stato stordito fu gettato in una buca, cosparso di benzina e bruciato insieme a dei tappetini di gomma d’auto e con i sicari che sparavano a turno. Era il 15 gennaio 1994. Il 21 marzo successivo il suo corpo fu ritrovato in una buca nella campagna di Dinami su indicazioni dell’esecutore materiale del delitto, nel frattempo diventato collaboratore di giustizia. Giustizia è poi arrivata per la famiglia Luzza, e circa un mese fa è scattata anche sul piano civile con la condanna dei responsabili al risarcimento. Troppo, evidentemente, perché i mafiosi il carcere lo mettono in conto ma non tollerano di perdere il denaro e con esso potere e faccia. È questo che ha scatenato la grave minaccia? Molto probabile. Anche perché la famiglia Luzza non si è mai chiusa nel silenzio, quello che i mafiosi pretendono dalle loro vittime. Parole per fare memoria e non solo di Pino. Ecco così l’impegno con Libera, in particolare di Matteo, responsabile del settore 'memoria' per la Calabria. La memoria non piace ai mafiosi, soprattutto quando si fa impegno. Così il 9 aprile era stata danneggiata a Soriano la stele che ricorda Filippo Ceravolo, anche lui vittima innocente della ’ndrangheta, anche lui ventenne come Pino. Ancora il Vibonese, territorio caldissimo e forse sottovalutato, terra di ’ndrangheta potente e violenta. Ma anche di pericolosi e inquietanti intrecci tra clan e politica. Sono ben tre i Comuni della provincia di Vibo Valentia sciolti dall’inizio dell’anno, numero record. Come in quella di Napoli che ha però 92 Comuni e più di tre milioni di abitanti, mentre la provincia calabrese ha 50 Comuni, spesso piccolissimi, e poco più di 160mila abitanti. C’è da essere più che preoccupati. Serve maggiore attenzione, nonostante recenti brillanti operazioni, serve più impegno nel contrasto ai clan locali che hanno da tempo allargato i loro tentacoli al Nord Italia, grazie ai miliardi fatti col traffico di droga e agli affari sul turismo e più recentemente sulla malaccoglienza dei migranti e sull’azzardo. Una ’ndrangheta ricca e crudele, che usa la violenza con grande facilità, che uccide, che fa sparire le sue vittime come voleva che fosse per Pino (tantissimi casi di lupara bianca, circa 50 in 30 anni), che mette bombe e minaccia. Come con mamma Teresa e i suoi figli, colpevoli di non aver taciuto. Ma i mafiosi hanno sbagliato i conti. Il 21 marzo erano in 12mila a Vibo Valentia a manifestare in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno, in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Per dire, come ci scrisse Matteo un mese fa, «questa è casa nostra, sì, casa nostra. Terra nostra. Non loro». La minaccia non gli ha fatto cambiare idea. «No, non può passare il messaggio che questa terra è in mano a gente che non vuole il suo bene. Noi andiamo avanti». Memoria e impegno.