Il Governo e la Manovra. Tante parole confuse. Ma ora la gente merita vera chiarezza
Sopra ogni altra cosa anche in Italia serve chiarezza. È questo il primo 'debito' da onorare. Perché, oggi più che mai, prima dei conti, a non tornare sono le parole che li accompagnano. Nette e dure come lame quando si tratta di fare retorica sulla pelle di migranti e 'nemici', le parole di governo diventano confuse quando si parla di come spendere i soldi di tutti, e fanno sballare ancor più i conti.
Retromarcia sul deficit concordato il mese scorso con l’Europa, tira e molla sulle risorse per Reddito di cittadinanza e pensioni, incomprensioni per flat tax e 'pace fiscale', ambiguità ricorrenti sui rapporti con Bruxelles e persino sulla permanenza nell’Eurozona: una ridda di dichiarazioni contraddittorie ha già farcito la Nota di aggiornamento al Def, appena approvata dal Parlamento.
E rischia ora di trasformare in pasticcio la stesura della Manovra finanziaria per il 2019. Divergenze si registrano a cadenza quotidiana tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, vicepremier e azionisti di maggioranza del governo, oppure, alternativamente, tra uno dei due e il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giovanni Tria. L’ultima tra il Ministero dello Sviluppo economico e quello del Tesoro sul ritorno dello Stato nel capitale di Alitalia. L’impressione è che sia per ora questa confusione verbale – sintomo di quella concettuale – ad agitare i mercati e provocare di conseguenza l’allargarsi dello spread.
Più delle stime di crescita, ritenute da quasi tutti gli osservatori troppo generose, o dell’entità del disavanzo strutturale che farà inevitabilmente lievitare il debito pubblico. In mancanza di pietre angolari e soprattutto di fronte a scontri lampanti e voltafaccia repentini, insomma, meglio vendere Btp e azioni. Che tu sia un investitore della porta accanto oppure un colosso in grado di muovere i mercati. C’è sicuramente una componente speculativa nelle fiammate del differenziale che chiamiamo 'spread' e nei crolli di Borsa, ma la speculazione si alimenta proprio dell’incertezza: persino gli algoritmi automatici che setacciano ogni vibrazione informativa in Rete comprano e vendono sfruttando la confusione programmatica o le promesse mancate, foriere d’instabilità. La parola, anche in finanza, viene prima del numero.
Negli anni Settanta, il filosofo inglese Paul Grice ha provato a sintetizzare quattro 'massime conversazionali', i princìpi che governano il dialogo secondo logica e pertinenza, nel rispetto del principio di cooperazione fra parlanti: «Non essere reticente o ridondante», per la quantità del parlare; «Sii sincero, e fornisci informazione veritiera secondo quanto sai», per la qualità; «Sii pertinente», per la relazione; «Evita ambiguità», per il modo. Il 'parlare' delle Banche centrali, diventato negli anni una sorta di codice, ha cristallizzato quest’impostazione.
Una scelta intenzionale al fine di non creare false aspettative nei mercati e nei risparmiatori, per non distorcere il messaggio generando ambiguità. Più in generale, l’economia ha guadagnato sovranità rispetto alla politica, in un mercato finanziario globalizzato e interconnesso, anche grazie all’intrinseca razionalità comunicativa: stesso linguaggio, messaggi non contraddittori, precisione nelle dichiarazioni d’intenti. Se a essere protagonista è poi una politica che pone il raggiungimento del consenso quale primo obiettivo, il 'parlare' è praticamente agli antipodi rispetto alle massime di Grice. Altre logiche. Addirittura un’altra razionalità. Il linguaggio da campagna elettorale, se mosso da istanze populistiche, non si basa su un agire comunicativo in grado di generare uno spazio pubblico. Blandisce invece le opinioni dei singoli, le istanze e gli istinti soggettivi prima di quelli comunitari. E la politicapropaganda massimizza i risultati – paradossalmente – attraverso quei network digitali definiti 'social'. Difficile però risultare altrettanto persuasivi quando si passa all’azione di governo.
Una vasta letteratura dimostra come le misure di politica economica risultano efficaci solo se chiare e semplici. L’effetto potenzialmente più rilevante della flat tax, ad esempio, è quello di semplificare la vita al contribuente e al sistema di riscossione. E quindi, grazie alla maggior trasparenza ed efficienza, di diminuire l’evasione. Sul fronte lavoro, le aziende decidono piani di prepensionamento e le assunzioni quando le regole e i tempi sono certi. Le politiche di contrasto alla povertà, infine, fossero anche una prestazione puramente monetaria, funzionano nella misura in cui sono facilmente ottenibili: il successo è legato all’accessibilità.
La chiarezza – in politica economica, per i mercati finanziari, nei rapporti con le istituzioni comunitarie – è dunque un plusvalore. Insieme all’esattezza e alla rapidità, tre delle famose 'Lezioni americane' di Italo Calvino. Il quale, nella prima delle sue 'proposte per il prossimo millennio', la lezione dedicata alla leggerezza, sapientemente notava: «La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio». Per essere credibile. Una buona lettura, forse, per chi si appresta a completare la Legge di bilancio. E non solo: governare, del resto, è anche questione di stile.