Difesa «sempre legittima». Ma in Italia uccide più la caccia della rapina
Quando sulla sicurezza ci si esonera dall'argomentare con dati e fatti, il risultato è di modificare le leggi penali: 'sporcandone' le parole e le intenzioni, e poi lasciando nella sostanza immutato il dispositivo. Con la 'riforma' della legittima difesa approvata ieri risulterà un pessimo 'spirito della legge'. Sortirà un messaggio che procurerà equivoci nei cittadini, ma non muterà granché il dispositivo della norma. È così in Europa dal Codice di Giustiniano (anno 534) e in Italia dal Codice Rocco (1930) alle successive modifiche negli anni della Repubblica. Solo in tempo di guerra, infatti, può venire meno l’esimente della difesa legittima perché proporzionata all'offesa.
E nonostante gli 11 anni di crisi economica, non pare proprio che occorra (e si possa) ribaltare l’ordine civile della Repubblica italiana... Vale la pena, però ,di soffermarsi su alcuni dati, tristi e bizzarri a un tempo. Nei pochi mesi della stagione venatoria 2017-2018 le armi da fuoco hanno ucciso 31 persone (e ferito altre 96) che battevano il territorio o semplicemente passeggiavano nei boschi. Ogni quattro giorni, dunque, c’è una vita persa nel rito ispirato a Diana Cacciatrice. Gli dei dell’Olimpo non esistono eppure, a quanto pare, hanno il potere di inibire le polemiche, e quindi di non far suscitare richieste contro i grilletti facili, talvolta persino di cacciatori ebbri di grappa già all'alba, ingerita per contrastare il freddo delle nebbie silvane. I dati sono stati pazientemente raccolti dall’Associazioni vittime della caccia. Sul fronte del crimine 'comune', le fonti ufficiali (Ministero dell’Interno) documentano invece che nei 365 giorni dell’anno 2016 si sono consumati 19 omicidi «a scopo di furto o di rapina»: il 4,7 per cento del totale dei casi di morti per violenza deliberata. Nel periodo successivo (2017 e 2018) l’incidenza – stando ai dati provvisori – è ancora minore, poiché l’aggressività assassina in totale è ulteriormente scesa di 12 punti.
Riflettiamo su questi numeri: diciannove vittime delle violenze strumentali di ladri e rapinatori (anche se non si può dimenticare che nelle 28mila rapine complessive del 2018, in netto calo rispetto al 2017, ci sono stati anche feriti e forti traumi psicologici); 31 caduti perché finiti nel mirino degli appassionati della caccia al cinghiale o ad altre specie animali. Nessun ministro dell’Interno ha battuto ciglio, davanti al ripetersi del secondo tipo di evento. Quando i fatti si eclissano, la politica replica le parole delle piazze di figuranti convocati per fare il tifo per gli ospiti dei talk show. E il cittadino imputato per aver ucciso l’intruso assurge a notorietà e transita in un pomeriggio in tre o quattro 'programmi verità' sul 'Paese reale in diretta'. E mentre succede questo accade ovviamente anche che le persone competenti scompaiano. Mentre negli studi tv a fungere da opinion leader e da 'esperti' siano caratteristi (per non dire macchiette) e onorevoli più o meno arruffapopolo. Così la classe dirigente del cosiddetto 'Paese legale' si dimette dalla responsabilità di decidere con coerenza etica davanti agli umori di parte del 'Paese reale'. Lasciando all’autonomia dell’ordine giudiziario un nuovo compito 'di supplenza': ripristinare con le pronunce in giudizio il discrimine tra difesa 'legittima' e omicidio volontario.