Quanto ha dato dolore alla Chiesa lo scandalo della pedofilia lo si comprende subito dall’intonazione severa che caratterizza il documento della Congregazione per la dottrina della fede sui «Delitti più gravi». Perché fra i delitti più gravi si annoverano gli atti impuri di chierici con minori di anni 18, incriminazione più ampia degli stessi abusi previsti dal Codice penale. Altro che aria di insabbiare, di sopire. E il possesso di materiale pedopornografico sta anch’esso sotto i fulmini canonici. Giudice di questi delitti è la Congregazione per la dottrina della fede, tribunale supremo; e si prevede una procedura rapida, financo stragiudiziale, e una pena che può arrivare alla destituzione o alla rimozione.A leggere il documento per intero, non è il sesso l’argomento principe, e la nuova "legge" canonica non comincia e non finisce lì. Ci sono i delitti contro la fede: l’eresia, l’apostasia, lo scisma; i tradimenti che strappano la fedeltà e l’unità della Chiesa. E poi c’è il capitolo angoscioso della profanazione dei sacramenti; l’Eucaristia prima di tutti, cuore della vita ecclesiale e della grazia; e la Penitenza, luogo d’incrocio fra la grazia che salva e perdona e il dialogo umano che porta alla grazia la confidenza segreta di un cuore umiliato. E l’Ordine sacro, infine. E poi il resto che segue, segue come figura di profanazione del corpo, ossia di un tempio, perché il corpo è tempio anch’esso.Scorrendo il linguaggio giuridico del testo, ci chiediamo che senso ha nella Chiesa un Codice dei delitti e delle pene; e che cosa succede a chi viene giudicato colpevole. La risposta è che la Chiesa è, sì, «popolo di Dio», ma è anche assemblea, è comunità di uomini dentro la storia, e il suo codice non ha per scopo di «sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli» ma resta «strumento indispensabile per assicurare il debito ordine sia nella vita individuale e sociale, sia nell’attività stessa della Chiesa» (Giovanni Paolo II). La Chiesa deve custodire la santità dei segni sacri della grazia, la fedeltà dei suoi ministri. Certo, il Codice canonico non è una specie di
sharia le pene sono di tipo spirituale, anche quelle più gravi, come la scomunica; e sono chiamate pur sempre pene «medicinali» perché il loro scopo è favorire la conversione. Ma la severità delle norme odierne è un segnale fortissimo della gravità di alcuni tradimenti morali, collocati appena dopo le figure di profanazione sacramentale; vi traspare la repugnanza fra la missione sacerdotale di guida spirituale e la sua degradazione, fra il ministero consacrato, canale di grazia, e l’impurità. Da punirsi anche fino a vent’anni dopo, a contarsi da quando il minore compirà i 18 anni.Questo monito duro e risoluto è un forte segnale, una grande lezione di responsabilità, con tutta la forza della fede. Perché non soppianta e non sostituisce la reazione civile quando l’impurità è crimine (epperò la norma canonica è più ampia del crimine di abuso per il range dell’età protetta), ma prende senso, e forza senza confronto più determinante, da ciò che la fede conosce delle pene spirituali, del dolore, dell’espiazione.Così la nuova legge canonica diventa lezione che provoca tutti, anche quelli che credono che la fede non conta. Un tempo il vescovo Ambrogio fermò sulla porta della cattedrale l’imperatore Teodosio, dopo la strage di Tessalonica; lo lasciò fuori, lo costrinse a stare tra i piangenti, per il tempo stabilito a espiare il suo delitto. Era l’imperatore, obbedì.