Aborto. Ma i dati e (la ragione) ripetono che l'obiezione non è il problema
No, con i numeri proprio non ci siamo. L’indagine presentata dall’Associazione Coscioni in merito all’applicazione della legge 194 sull’aborto, dal punto di vista dei dati fa acqua da tutte le parti. Si parla di «31 strutture sanitarie con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologici, anestesisti, infermieri o operatori socio-sanitari, quasi 50 con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 con un tasso di obiezione superiore all’80%».
La assoluta vaghezza di questi numeri lascia perplessi. A quali strutture ci si riferisce, su quante disponibili, in quale territorio e su quale popolazione di donne in età fertile? Lo studio, che è sfociato anche in una lettera aperta al ministro della Salute Speranza e alla ministra della Giustizia Cartabia, vorrebbe essere una denuncia dell’impossibilità per le donne di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza a causa dell’altissima percentuali di obiettori di coscienza; una stanca polemica che si ripete ormai da almeno un decennio e che mira sostanzialmente a cambiare la legge attraverso le procedure, senza passare dal Parlamento e quindi dall’opinione pubblica.
C’è però un ostacolo che impedisce di arrivare all’obiettivo: i dati, che, con la incontestabile solidità dei numeri, smentiscono la ricostruzione, tante volte proposta, di un insopportabile carico di lavoro per i medici che praticano le Ivg. Ed è proprio sull’evidenza di questi numeri che si è basato il Consiglio d’Europa quando, nel 2016, si è pronunciato contro la condanna richiesta per l’Italia da Cgil e Ippf (International Planned Parenthood), proprio sull’eccessivo ricorso all’obiezione di coscienza. Per smentire le conclusioni della ricerca dell’Associazione Coscioni non ci vuole molto: basta leggere le relazioni annuali al Parlamento, frutto del lavoro comune di Istituto superiore di sanità, Istat e Regioni. I ministri della Salute cambiano, ma le cifre no. Considerando 44 settimane lavorative all’anno, la media nazionale era nel 2019 di 1,1 aborti eseguiti dai medici ogni settimana.
Non si tratta di medie che mascherano squilibri pesanti, perché, sempre nello stesso documento, si poteva rilevare come fossero ben poche, e concentrate in 4 Regioni soltanto, le strutture con un carico di lavoro superiore a 9 interventi a settimana. Emerge dalle relazioni un altro importante elemento: il numero di punti aborto in diverse regioni italiane supera quello dei punti nascita, e la media nazionale mostra che sono praticamente uguali. Eppure sappiamo che gli aborti corrispondono mediamente al 20% delle nascite: se un problema per le donne c’è, riguarda quindi la scarsità di strutture dove si può partorire, e non quelle dove si può interrompere la gravidanza.
Ma il dato più sorprendente che l’indagine dell’Associazione Coscioni sottolinea, concerne la questione dei medici non obiettori che non effettuano Ivg. Le autrici dello studio lamentano che al 33% di medici non obiettori va sottratta la percentuale di chi non esegue aborti pur senza rifiutarsi in linea di principio. Accade, per esempio, all’ospedale Sant’Eugenio di Roma, in cui su 21 non obiettori solo 2 praticano effettivamente Ivg, ma i casi citati sono molti. Il dato, nelle relazioni al Parlamento, c’è, anzi è ben precisato: si tratta del 15% dei medici non obiettori.
Ma non riusciamo davvero a capire come questa percentuale possa far arrivare alla conclusione che la responsabilità degli eventuali problemi per le donne che vogliono abortire sia degli obiettori. Sembra evidente, infatti, che se tutti i medici che non hanno riserve morali nei confronti dell’aborto fossero chiamati a praticarlo, il carico di lavoro, già abbastanza basso, diminuirebbe ulteriormente.
Comunque, contraddizioni a parte, su un punto si deve essere d’accordo con le autrici dello studio: su un problema così delicato le informazioni devono essere trasparenti, disponibili e ancora più ampie e dettagliate di quanto già non siano. Perché i dati, quando sono attingibili e precisi, non mentono, e fanno giustizia di tutte le fake news. Anche quelle agitate contro quel diritto all’obiezione di coscienza che in tempi bellici come questo è ancora più importante saper custodire.