La radicalizzazione nella grande democrazia. Ma dove vai America?
Un Paese sempre più diviso, politicamente radicalizzato, nel quale nessuna parte riconosce l’altra come legittima, anche a costo di mettere in pericolo la sopravvivenza dell’intero, con tanti saluti a quello spirito 'bipartisan' che abbiamo per anni invidiato all’America. La notizia che il presidente Trump è indagato per «ostruzione alla giustizia» non farà che peggiorare il clima in cui il Paese è scivolato non certo da ieri. L’accusa in sé è grave, anche se è molto improbabile che possa portare all’impeachment del capo della Casa Bianca.
Il meccanismo di destituzione del presidente degli Stati Uniti d’America prevede infatti una prima delibera della Camera dei rappresentanti e poi un 'processo' di fronte al Senato, tutti organi elettivi solidamente controllati dal Partito Repubblicano. Quest’ultimo forse non amerà il presidente – la cui candidatura ha avversato in ogni maniera immaginabile – ma sa bene che qualora, autorizzasse la messa in stato di accusa del 'suo' presidente, decreterebbe il suicidio politico del partito stesso e la consegna della Casa Bianca ai democratici per un lungo e forse lunghissimo periodo. Quell’America che lo ha eletto, griderebbe allo scandalo, vedrebbe confermata la sua idea che l’establishment – poco importa se democratico o repubblicano – può persino sovvertire il legittimo responso delle urne. Si potrebbe aprire uno scenario capace di andare ben oltre la crisi costituzionale. E questo sarebbe tanto più vero di fronte a un’accusa molto, molto scivolosa come quella di cui è fatto oggetto Donald Trump, cioè di aver cercato di interferire con le indagini del Fbi a carico dell’ex Consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Che il clima sia avvelenato oltre misura lo attesta anche il grave episodio nel quale un seguace di Bernie Senders – il rivale liberal di Hillary Clinton nella corsa alla nomination democratica – ha ridotto in fin di vita il deputato Steve Scalise, uno dei repubblicani più influenti del Congresso.
Non c’è dubbio che Trump ha in tutto questo periodo contribuito ad alimentare il clima di polarizzazione politica del Paese, attraverso provvedimenti, annunci, tweet sovente irridenti le posizioni altrui, spesso urticanti le sensibilità differenti dalle sue e, talvolta, apertamente e gratuitamente polemici oltremisura. Tutto il contrario, per intenderci, di quello che si attenderebbe dalla prima magistratura della Repubblica. Ma è altrettanto vero che, per una parte dell’America, la stessa elezione di Trump è stata vissuta come un lutto nazionale, come una catastrofe cui deve potersi mettere fine il prima possibile e in qualunque modo possibile. Ne fa testo la campagna martellante di delegittimazione sostenuta dal New York Times e dal Washington Post e gli episodi di aspra 'testimonianza' antitrumpiana si sprecano. L’ultimo è di appena qualche giorno fa, con la volontà molto pubblicizzata dei vincitori del campionato di basket di non andare alla Casa Bianca per la foto di rito. Occorre ribadirlo: si può benissimo ritenere che una serie di scelte di Trump possano tradursi in gravi errori, sia nel campo della politica estera che in quella interna, e quindi opporvisi e mobiliarsi contro di esse; ma è la logica del 'muro contro muro' che rischia di far crollare l’intero edificio. Questa polarizzazione sempre più radicale non è però iniziata con Trump.
Già l’elezione di Barack Obama fu divisiva, come lo furono alcuni dei suoi provvedimenti e (opzioni di fatto) su delicate questioni della vita e della pace. È del tutto evidente che molti contenuti delle politiche di Obama fossero comunque più condivisibili e apprezzabili di quelli attuati (e soprattutto annunciati) da Trump: resta però il fatto che quella di Obama, assegnatario di un troppo precipitoso premio Nobel per la pace, fu già una presidenza tutt’altro che 'pacificante' fuori e dentro i confini degli States. Così come divisiva fu quella di George W. Bush. Lo stesso Bill Clinton, pur assai popolare, fu oggetto di una procedura di impeachment (dalla quale venne assolto) per la nota vicenda relativa a Monica Lewinsky. Si potrebbe sostenere, non senza fondamento, che è da allora che la lenta, inesorabile deriva che sta allontanando sempre più un’America dall’altra non conosce soste. In un clima di reciproco sospetto e di secessione interiore che non lascia ben sperare per le sorti della democrazia americana.