Lettere. «Ma davvero?». E 20 ragazzi si ritrovano a riflettere in silenzio sull'Avvento
Caro Avvenire,
«Ma davvero?». È stata l’espressione di molti studenti, dell’Istituto Tecnico Carlo Cattaneo di Milano, quando il professor Giorgio Greco entrando nelle proprie classi ha proposto una mattinata di silenzio, in questi giorni di Avvento, per riflettere sul significato dell’Attesa. Nonostante la proposta potesse risultare strana e lontana da un gruppo di ragazzi adolescenti, in venti hanno risposto al suo appello, e domenica 26 novembre si sono trovati alle nove del mattino a Gorla, quartiere della periferia nord-milanese, per recarsi assieme al monastero di clausura delle Clarisse di Santa Chiara. Tra questi venti studenti di classi diverse anche una ragazza musulmana; c’era chi non stava in piedi dal sonno, dopo un intenso sabato sera, chi non sapeva minimamente cosa fosse un monastero di clausura e chi, invece, nonostante fosse un po’ spaesato aspettava con curiosità questa mattinata. Entrando nel monastero abbiamo trovato suor Maria Chiara, clarissa di clausura poco più che trentenne. Con lei abbiamo condiviso un ampio incontro meditando sull’importanza che il silenzio assume nella nostra vita, sulla difficoltà che abbiamo nel trovarlo in una città caotica e stressante come Milano e su come esso ci faccia anche paura, poiché di fronte al silenzio rimaniamo noi stessi: con i nostri pregi e i nostri difetti, spogliati d’ogni maschera che, anche involontariamente, ogni giorno indossiamo. Abbiamo condiviso idee e cercato di comprendere tutti i significati che la parola “silenzio” può assumere, prima di iniziare noi stessi un tempo di silenzio quando, per un’ora, abbiamo meditato, lontano dal telefono, dalla musica e da ogni distrazione. Sparsi nel giardino, abbiamo potuto udire il suono del vento tra le foglie, il pianto di un bambino fuori dal cancello e gli uccelli agitare le ali. E tutti questi piccoli suoni ci hanno accompagnato a riflettere su quale sia il vero significato dell’Attesa, in tutte le sue sfaccettature. Un mo- mento di condivisione finale ha portato ogni ragazzo a esprimere le proprie riflessioni e i propri pensieri. Lasciando il monastero, abbiamo ringraziato suor Maria Chiara per il tempo dedicatoci e il professor Greco, per aver avuto il coraggio di proporre tutto ciò a degli studenti “sconosciuti” tra loro ma che, dopo questa giornata, hanno qualcosa che innegabilmente li lega.
Sorprendente. Bellissimo. Un professore che ha l’audacia di proporre ai suoi ragazzi una mattina nel silenzio di una clausura. Dei ragazzi che accettano, curiosi o anche perplessi, la sfida. Stare in silenzio, una cosa che non facciamo quasi mai, e che meno degli altri fanno i giovani, costantemente attaccati alle cuffie dello smartphone. Ma anche noi, adulti, in una stanza silenziosa spesso accendiamo la radio, quasi senza pensarci, a disagio in quel vuoto. Il silenzio è un interlocutore grande: inquieta, domanda, percuote, non lascia in pace. Il silenzio sembra carico di una muta attesa: come se aspettassimo in realtà qualcosa, non sapendo che cosa. Venti adolescenti chiassosi, o un po’ storditi dalla notte del sabato, che bussano una domenica mattina a un convento di clausura nella periferia di Milano. Mi immagino le facce di ragazzi che si guardano attorno, stupite, gli occhi spalancati. Venti ragazzi dalle clarisse, maestre di silenzio. Poi, nel giardino del convento, eccoli a esercitarsi, in quel silenzio. Riconoscendo rumori lontani di cui mai si sarebbero accorti: echi di voci, pianto di bambini, battere di ali. E forse anche la propria voce interiore: oltre al rumore e alle banalità di tutti i giorni, avvertendo, confusa, la domanda più vera. Che, sorprendente, lega fra loro degli sconosciuti: come una comune impronta scritta addosso, e ritrovata. Bello, che ci siano insegnanti che hanno il coraggio di fare una simile proposta ad alunni apparentemente tanto lontani dalle parole Avvento, clausura, silenzio. Adulti che hanno il coraggio di osare una sfida seria, e voglia di accompagnare i ragazzi in qualcosa di sconosciuto e bello. L’altro giorno abbiamo pubblicato la lettera di un professore che ha accompagnato i suoi alunni davanti ai supermercati per fare la colletta del Banco Alimentare. La email era firmata da 31 studenti di diciassette anni. Oggi, questa lettera da uno storico istituto del centro di Milano. Viene da pensare che questi ragazzi di cui si parla spesso negativamente, come figli estraniati di un algido mondo digitale, siano, invece, lì ad aspettare che un adulto li affronti, con serietà e con affetto, e che proponga loro ciò che non sanno, ciò che non è stato loro tramandato. Sono i figli che ci hanno voltato le spalle, o sono i padri e le madri, che non fanno più il loro mestiere? Grazie ai ragazzi del Cattaneo e al loro professore di averci raccontato la loro mattina in una clausura di Milano, cuore di silenzio nella periferia della metropoli che, attorno, corre e si affanna, mentre avanza l’Avvento.