Violenza privata» e « intimidazione » , « interruzione di servizio di pubblica necessità » . Le accuse che in queste ore vengono mosse al ministro del Welfare Maurizio Sacconi, trasformate in altrettante denunce al Tribunale di Roma dai Radicali e da un’associazione di consumatori (!), non solo appaiono manifestamente infondate, ma danno la misura di come la realtà delle cose venga ribaltata a servizio di un’ideologia distruttiva. L’atto di indirizzo con il quale il ministro ha ricordato come nelle strutture sanitarie pubbliche ( e private convenzionate) debbano essere garantite – oggi e domani – la nutrizione e l’idratazione dei pazienti, disabili gravissimi compresi, risulta infatti pienamente legittimo. Afferente ai poteri – appunto di indirizzo – dell’autorità politica nazionale. Persino « scontato » , come ha notato ieri anche qualche esponente dell’opposizione, in un Paese che nella sua Costituzione garantisce e tutela anzitutto il diritto alla salute come interesse collettivo e non solo personale. Sul piano giuridico, non regge quindi l’argomentazione che le Regioni avrebbero competenza esclusiva sulla sanità. E tanto meno si può invocare – a sproposito – lo Statuto speciale del Friuli Venezia Giulia, quasi che quella regione, o altre, potessero sottrarsi a un’interpretazione nazionale di come le strutture pubbliche debbano garantire la tutela di diritti costituzionali primari, quali sono appunto quelli alla vita e alla salute. Per Eluana e per tutti i cittadini italiani. Invocare la specificità del proprio statuto per cause indifendibili o, peggio, per piccole camarille politiche, con un atteggiamento quantomeno pilatesco, appare davvero un pessimo servizio alla propria gente e alla Politica. E qui occorre forse allargare lo sguardo per chiedersi se in Italia sia ancora possibile esercitare scelte politiche senza finire ostaggio delle aule giudiziarie. Nel senso di far valere – così come ha ritenuto opportuno di fare il ministro Sacconi – una visione politica. Di parte, certo, com’è caratteristica di una democrazia basata sui partiti. Ma di una parte uscita maggioritaria dalle elezioni e, fino a prova contraria, capace di interpretare ancora il sentire profondo dei cittadini italiani. Si può contestare, argomentando, il contenuto delle scelte, ma non si può contestare a un ministro di aver agito politicamente, addebitandogli con ciò « una violenza privata » . E sfiora addirittura il ridicolo trasformare la risposta del ministro alla domanda di un giornalista – « Comportamenti difformi da quei principi determinerebbero inadempienza, con le conseguenze probabilmente immaginabili » – in un atto intimidatorio. Sarebbe come denunciare per minacce un vigile che dicesse a un automobilista: ' attento, se passi col rosso, rischi una multa'! L’inconsistenza delle accuse, dunque, è tale da far pensare che si tratti dell’ennesima, istrionica, trovata mediatica dei Radicali. Questa sì, però, dal vago sapore intimidatorio. Perché abbandona il terreno politico, proprio del confronto, per adire invece i tribunali. Neppure ricorrendo alla giustizia amministrativa, sede naturale per contestare il merito di un provvedimento dell’autorità pubblica, ma rivolgendosi all’ambito penale. Con l’unico scopo di tentare di delegittimare l’onorabilità di un ministro della Repubblica, che ha avuto il coraggio di emanare un atto di indirizzo politico trasparente, di elevato valore etico.