Il direttore risponde. Ma che ci vuole a chiedere scusa?
Vincenzo B., Roma
Capisco il suo punto di vista, caro signor Vincenzo. E condivido la sua doppia sofferenza: per i sacerdoti che hanno – uso parole del Papa – tradito la loro missione e la fiducia dei piccoli (e perciò ne risponderanno a Dio e, qui e ora, alla giustizia degli uomini) e per quelli – infinitamente di più – che vengono invece infangati ingiustamente. Quello che non riesco proprio a fare mia è la sua indulgenza per certa satira ridotta a insulto e a insulto gratuito. Questa satira fa specchio, purtroppo, e comunque di certo non contraddice la tendenza a sacralizzare le dissacrazioni più feroci che, soprattutto se sono anticristiane, vanno sempre bene, e guai a chi obietta. E no! Noi obiettiamo. C’è, poi, dell’altro, ed è un ragionamento che a qualcuno potrà sembrare "terra terra": mi hanno insegnato, e non lo dimentico, che quando si sbaglia si deve saper chiedere scusa. So che questo riguarda chiunque, qualunque mestiere faccia, qualunque ruolo ricopra, e che la regola vale ancora di più per chi ha una forte visibilità pubblica e – nei diversi modi possibili – esercita "potere". So anche, gentile lettore, che chiedere scusa non è la cosa che ci viene meglio, ma qualche volta è davvero la sola cosa giusta da fare. La pessima vignetta di Vauro sul Papa, i preti, i pedofili e l’attuale capo del governo è stata un errore assai grave che ha fatto seguito ad altri gravi errori. Basterebbe ammetterlo (e non ricascarci). Aver suggerito di prendere questa via diretta, averlo fatto a più riprese, rivolto a diversi "volti" e ospiti di riguardo della nostra televisione, aver pungolato a rimediare e a evitare nuove offese a coloro che della qualità dell’offerta televisiva sono i responsabili, è parso a qualche collega e ad alcuni opinionisti un «anatema» o, comunque, una richiesta di censura. Ma andiamo... Le parole hanno un senso, nel bene e nel male. E metterla così significa alzare la solita vittimistica cortina fumogena di scuse per non dare scuse.