Il direttore risponde. L’universo infinito ci parla del Creatore
don Alberto Tomasini Cadignano di Verolanuova ( Bs)
La sua, gentile reverendo, è la riflessione nello stesso tempo semplice e profonda che può scaturire solo da un animo sensibile. L’osservazione dell’immensità dell’universo – di cui il nostro sistema solare è un’infinitesima frazione – può condurre a due esiti: può smarrirci nella vertigine, come vuole un certo pensiero nichilista, e come per esempio accade al cosmonauta protagonista del celeberrimo film di Stanley Kubrik, «2001 Odissea nello spazio», che letteralmente naufraga in quest’abissale sproporzione. O può, alla luce della Rivelazione cristiana o anche di una ragione scientifica aperta al mistero, affermare la grandezza del Creatore e, di riflesso, della sua creatura prediletta: l’uomo. Giustamente lei si chiede come possa il libero arbitrio, di cui la persona umana è elettivamente ed esclusivamente dotata, condurre all’egoismo e all’inimicizia. Senza addentrarci in argomenti profondi e impegnativi come l’oggettività del male, mi limito a ricordare – avendone l’età – un particolare che mi fece molto pensare nelle cronache delle prime spedizioni lunari, alla fine degli anni ’60. Alla domanda su che cosa li avesse più colpiti della Luna e del cosmo, molti degli astronauti rispondevano subito: la Terra. Ovvero la bellezza di un pianeta che – visto da fuori – appariva davvero come un’arca, casa comune di tanti popoli. La visione di questo grande ma insieme minuscolo condominio (relativamente alle dimensioni dello spazio), sospeso nell’immensità eppure così protettivo e accogliente, portava questi uomini a una saggia ripulsa dei litigi e dei conflitti umani (e allora si era in pieno clima di Guerra fredda!): vere assurdità. Ma c’è di più. Fra i diversi oggetti che agli astronauti Armstrong e Aldrin recarono con sé durante il primo storico allunaggio, nel luglio 1969, sembra ci fosse anche il testo del Salmo 8, affidato loro da Papa Paolo VI. Ebbene, il versetto 5 di quel Salmo, fra i più belli di tutta la Scrittura, recita: «Cosa è l’uomo perché te ne curi?». Il cantore, dopo aver ammirato la maestà del firmamento, si domanda quale sia il motivo della grandezza dell’uomo e della sua dignità, che sono anch’esse altrettanto palesi. La risposta è proprio nella pedagogia di Dio che si esprime attraverso l’infinito. L’uomo, che il filosofo Pascal definisce una «fragile canna», viene da Dio stesso «incoronato» sovrano. Insomma questa creatura fragile e finita riceve un’investitura che la rende addirittura «poco meno degli angeli», come riconosce il salmista. L’uomo, insomma, eredita questo dominio: non lo ha conquistato da solo. Da questa coscienza scaturisce inevitabilmente una responsabilità nuova, e radicalmente pacifica, perché pacificata.