Opinioni

L’uomo dei ponti. E della difesa della vita piccola e inerme. L’umanesimo verde e senza eredi di Alex Langer

Giovanni Gazzaneo venerdì 28 gennaio 2011
Lo chiamavo "l’uomo dei ponti". E lui sorrideva con quello sguardo e quella faccia da eterno ragazzo. Alexander Langer da Vipiteno gioca la sua vita su molti fronti, ma non è mai venuto meno a quella sua vocazione di riportare tutto a unità. Diciottenne crea la rivista Die Brucke, Il Ponte, con ragazzi tedeschi, italiani e ladini, quando in Alto Adige il dialogo tra le etnie era più un miraggio che una realtà. Dove gli altri vedevano un frammento, lui sapeva ricomporre l’insieme. Dove gli altri si preparavano allo scontro, lui era sempre pronto a offrire occasioni di incontro. Dove si alzavano i muri, cercava una breccia da cui passare, perché per lui non c’era muro senza una breccia. Alex era abituato a vivere sulla frontiera. Non riusciva a vederla come limite, ma linea da oltrepassare per aprire nuovi orizzonti. L’aveva imparato da bambino in quella sua famiglia che era crocevia di cultura ebraica e cristiana, di lingua tedesca (paterna e materna) e italiana (dei tanti amici che frequentavano casa Langer). La scuola media e il liceo classico dei francescani a Bolzano segna profondamente il suo modo di sentire e di vedere. Francesco era più di un modello, era una proposta di vita che si portava dentro. Da ragazzo pensa di consacrare la sua vita a Dio nell’ordine del poverello di Assisi, ma l’opposizione del padre, ebreo viennese, lo porta alla rinuncia. Eppure, quando studente approda a Lotta Continua e sembra allontanarsi dalla Chiesa, continua a preferire metafore bibliche agli slogan comunisti. Paolo Sorbi, ex militante e amico, lo ricorda come «l’ala bioetica del movimento, estremo oppositore di ogni forma di violenza». Nell’aprile 1987 è tra i firmatari del documento a sostegno dell’allora cardinal Ratzinger e dell’Istruzione della Congregazione per la dottrina della fede sulle questioni etiche relative a fecondazione artificiale e sperimentazione sugli embrioni. La sua parola è sempre chiara: «Se si apre la strada del trattamento genetico diventerà via via più difficile fissare un limite. È un po’ come la storia della bomba atomica: una volta che c’è, è difficile che poi non venga usata». Tra i fondatori del partito dei Verdi italiani, la sua visione ambientalista – purtroppo drammaticamente senza eredi – parte non dalla difesa delle piante ma della vita nascente. Nel pianeta vede l’uomo non come virus, assurda opinione di alcune frange radicali ecologiste, ma custode del Creato. Il suo essere ponte lo testimonia con grande coraggio durante il conflitto nella ex Jugoslavia. Parlamentare europeo, non accetta il silenzio internazionale calato sui massacri in Bosnia, in Kossovo e poi in Cecenia. Non solo denuncia, ma vuole essere presente là dove la gente è assediata, torturata, massacrata. Anche il silenzio dei potenti e la violenza sugli innocenti abitano l’insondabile disperazione del suo ultimo gesto. Il suo operare, le sue denunce, il suo pensiero, il suo "fare rete" restano esemplari, come mostrano gli scritti ora ripubblicati da Sellerio, che presentiamo a pagina 25. Langer era mosso dalla passione per tutto l’uomo, dall’istante del concepimento alla fragilità degli ultimi giorni. In questa sua passione era animato da una lucidità di analisi la cui attualità non è venuta meno: «Voler assumere il potere, medico, politico o semplicemente economico, di scegliere che tipo di esseri viventi devono nascere e devono popolare il mondo e, quindi, di scegliere anche che tipo di esseri viventi non devono più riprodursi e devono sparire, significa veramente voler diventare come Dio. Io credo che qui si tocchi nel profondo il limite. Non è un caso che anche in tutte le leggende e mitologie l’idea dell’omunculus, cioè dell’uomo fatto in provetta o comunque dell’uomo fatto su misura, sia sempre stata in un certo senso l’estrema bestemmia, forse anche l’estremo del patto col diavolo».