Ricordare la grande Amy Winehouse. L'ultima regina sedotta e spezzata del club 27
Ricordare la grande Amy Winehouse, archiviare il maledettismo Sono trascorsi dieci anni dalla morte, a soli ventisette anni, di Amy Winehouse. Grandissima interprete e cantautrice. La sua era una voce soul d’altri tempi. Ventisette anni, per chi non lo sapesse, è un’età emblematica nel mondo del rock e dell’arte in generale. Un numero funesto, come la vita di quelli a cui si riferisce. Ventisette anni è l’età in cui abbandonarono questo mondo Jimy Hendrix e Janis Joplin, Jim Morrison e Kurt Cobain. In America è divenuto oramai celeberrimo il Club 27, con questo nome ci si riferisce alle decine di artisti che sono morti proprio al loro ventisettesimo anno di vita. Una coincidenza. Oppure uno strano segno, oscuro, rivelatore. Forse, in realtà, non esiste nessun motivo. La cosa certa è la causa che ha portato alla morte tantissimi dei membri del Club 27.
A partire proprio da Amy Winehouse. Le sostanze. La droga. Il tema è di quelli che non si esauriranno mai veramente. Il catalogo delle sostanze è infinito, al suo interno ce ne sono molte legali, come l’alcol, oppure farmaci che creano, colpa dell’abuso ovviamente, forme gravi di dipendenza, fisica e psichica. Le benzodiazepine prescritte per i disturbi nervosi, gli oppioidi contro il dolore. Si potrebbe continuare a lungo. Sono tramontati a riguardo i vecchi conflitti ideologici del Novecento, l’annoso dilemma della legalizzazione per chi non se ne fosse accorto è oramai superato dalla realtà. Molti giovani entrano nel mondo della tossicodipendenza attraverso l’uso di sostanze legali, dunque fermarsi a quella contrapposizione è come minimo parziale.
Il problema è il racconto, la narrazione delle sostanze e del loro utilizzo. Questo è il punto. Non si riesce a uscire dalla polarità condanna-glorificazione, e questo manicheismo finisce per nuocere proprio ai giovani, che si sentono sfidati da chi li terrorizza, spesso senza nessun costrutto esperienziale o nozionistico, e sedotti da chi ancora oggi dichiara che l’uso di droga è anticonformistico e da ragazzi al passo con i tempi. Uno status che si protrae, di generazione in generazione, ormai da secoli. Anche molta arte ha contribuito a creare questo status. Pensiamo soltanto ai poeti maledetti. Proprio il maledettismo continua a proliferare in modo a dir poco sconcertante. La prova di quanto sia sconcertante, e assurdo, è Amy Winehouse con tutti gli artisti del Club 27. L’uso massivo di sostanze non produce arte, né altra forma costruttiva di umanità. Il tossico, l’alcolizzato, vive per la sua dipendenza, senza riuscire a fare altro. Al posto della creatività esplode quasi sempre la psicosi, la paranoia, poi l’autodistruzione.
Niente arte, niente anticonformismo. Ma il modo più banale per nuocere a se stessi quando si è giovani. Semmai, un trito esercizio di massa. La grande rivoluzione, come detto, sta nel racconto della realtà che riguarda il consumo di sostanze stupefacenti. Serve consapevolezza. Questa è l’unica strada, senza isterie o mitizzazioni. Al centro va messo il singolo soggetto, perché le sostanze reagiscono diversamente per ognuno di noi. Ognuno, infatti, ha un fisico e una psiche ed è proprio questo che va valutato con attenzione. E inaugurare una nuova era in cui a sedurre non sarà più il mito del maledetto, ma quello del benedetto, e dalla vita e dall’arte.