Stella dell'assenza /3. Le parole essenziali della strada
Come l’upupa si costruisce il nido nei buchi dei vecchi muri, così lo spirito risiede nelle rovine del nostro sapere. I vangeli sono il solo libro la cui esistenza non umilia gli illetterati.
Christian Bobin, Una biblioteca di nuvole
La coscienza umana collettiva conosce, ogni tanto, dei salti. Questi, tranne pochi casi straordinari, non sono il risultato di grandi gruppi umani né dell’azione della maggioranza della popolazione. Il principio motore dello sviluppo della coscienza morale va ricercato in singole persone, a volte in una sola persona. Le conquiste etiche sono il risultato di processi attivati da qualcuno che obbedisce a un comando interiore, agisce, e il mondo inizia a cambiare. È questa la radice profonda del principio personalista: per le cose davvero importanti nella vita delle comunità e dei popoli soltanto l’anima individuale è sufficientemente grande per accogliere l’anima del mondo e trasformarla. Perché è dentro quel mistero di libertà che si chiama persona dove solo può attivarsi una nuova fase dello spirito umano, che nasce e matura dal dialogo civile ma che può sbocciare soltanto nel tepore speciale di un singolo cuore umano.
Mosè, Geremia, Maria, Cristo, Francesco, Rosa Parks, Etty Hillesum, Dietrich Bonhoeffer: singole persone che hanno generato nuove anime collettive. E oggi, mentre si combattono guerre e si cerca di resistere agli imperi, la coscienza del mondo sta crescendo dentro il cuore di donne e di uomini che sanno dire i loro “sì” e i loro “no”, e dicendoli ci salvano. Bisogna custodire la fedeltà a una voce per tutta la vita per trovarsi pronti nel giorno dell’appuntamento decisivo, quando la risposta a una richiesta diversa della stessa voce dà improvvisamente senso a decenni di sofferenza e di silenzio. Il valore di una esistenza non si misura con il metro del dio Kronos, perché è un solo attimo quello che conta davvero, quello sufficiente per pronunciare quel “no” o quel “sì” – fosse anche l’ultimo “sì”.
Il Libro di Ester si apre con un “no” di una donna, di una regina, Vasti, che non obbedisce alla richiesta sbagliata del re Assuero, suo marito. La regina non si recò al banchetto, non si prestò a interpretare il ruolo dell’“oggetto” più prezioso della casata, da ostentare agli uomini. E così «il re se ne addolorò e si adirò» (Ester 1,12). Un primo messaggio: addolorare qualcuno non è necessariamente un atto sbagliato se nasce dal desiderio di fedeltà alla propria coscienza. «Allora il re interrogò i savi che avevano la conoscenza de' tempi…. I più vicini a lui erano Carscena, Scethar, Admatha, Tarscish, Meres, Marsena e Memucan, sette prìncipi di Persia e di Media che vedevano la faccia del re e occupavano i primi posti nel regno. “Secondo la legge – disse - che cosa si deve fare con la regina Vasti per non aver ella eseguito l'ordine datole dal re Assuero?”» (1,13-15). Il re cerca una soluzione. Consulta i suoi saggi, che la versione ebraica del testo definisce come coloro che avevano la «conoscenza de' tempi» (1,13).
Il lettore-uditore biblico sapeva che cosa significasse «conoscere i tempi». Aveva in mente le parole di Qoelet, un testo più o meno contemporaneo a Ester, e quella sua pagina sapienziale tra le più belle e profonde della Bibbia – «Tutto ha il suo momento, e ogni cosa ha il suo tempo sotto il cielo…» (Qo 3,1-11). La conoscenza dei tempi e dei momenti è il centro della sapienza biblica, perché capisce la vita e non si smarrisce chi si intona con i tempi giusti delle persone, delle comunità, della natura, di sé stesso, di Dio. Quindi definire gli astrologi e i sapienti “conoscitori dei tempi”, non è solo una battuta ironica (che si capirà alla luce di quanto il testo sta per dirci), è anche una citazione implicita di un’altra sapienza, quella grande risorsa che ha consentito al popolo ebraico di non smarrirsi in tempo di esilio e di occupazione straniera - la sapienza è il filo di Arianna che ci riporta a casa dai deserti e dalle ghiande dei porcili.
Ecco il “saggio” responso dei saggi: «Memucan rispose in presenza del re e dei prìncipi: “La regina Vasti ha mancato non solo verso il re, ma anche verso tutti i prìncipi e tutti i popoli che sono in tutte le province del re Assuero. Poiché quello che la regina ha fatto si saprà presso tutte le donne, e le indurrà a disprezzare i loro propri mariti; giacché esse diranno: “Il re Assuero aveva ordinato che si conducesse in sua presenza la regina Vasti, ed ella non v'è andata”. Da ora innanzi le principesse di Persia e di Media che avranno udito il fatto della regina ne parleranno a tutti i prìncipi del re, e ne nascerà un gran disprezzo e molto sdegno» (1,16-18).
Uno dei saggi-consiglieri, Memucan, forse il capo, fa un discorso chiaramente esagerato e iperbolico, quindi comico, per dire comunque qualcosa di importante nell’economia del libro di Ester – e per noi. I consiglieri sono preoccupati dalla possibile imitazione del gesto di Vasti; temono che se non si interviene in modo deciso ed efficace le altre donne del regno possano seguire l’esempio libero della regina, “e disprezzeranno i loro mariti”. È dunque in gioco l’ordine sociale dell’impero, fondato sul dominio dei mariti sulle mogli. Gli scavi archeologici del Novecento hanno rinvenuto documenti che mostrano che nella Persia di Serse le mogli della casata reale partecipavano alla vita pubblica e religiosa, ricevevano onori. La legge riconosceva loro il diritto di vendere e comprare con sigillo proprio, di stringere accordi, di avere accesso all’eredità, di conservare la dote dopo un divorzio. Nelle corti provinciali (“satrapie”) le donne di alto rango rivestivano ruoli pubblici, gestivano concubine e ancelle, e potevano viaggiare per amministrare le loro proprietà (Paola d’Amore, “Un mondo al femminile. Dee e regine dell’antica Persia”).
Il banchetto che la regina Vasti aveva organizzato per le donne (Ester 1,9) rivelava dunque questa autonomia della regina e in genere delle mogli. Quindi la preoccupazione dei saggi non era del tutto infondata, i maschi potevano temere che la libertà delle mogli superasse una soglia ritenuta (da loro) accettabile. Ecco dunque la soluzione che propongono al re: «Venga dal re emanato un editto reale, e sia iscritto fra le leggi di Persia e di Media affinché sia irrevocabile, per il quale Vasti non possa più comparire in presenza del re Assuero, e il re conferisca la dignità reale a una sua compagna migliore di lei. E quando l'editto che il re avrà emanato sarà conosciuto nell'intero suo regno ch'è molto vasto, tutte le donne renderanno onore ai loro mariti, dal più grande al più piccolo» (1,19-20). In primis, la regina Vasti deve essere ripudiata, quindi il re si troverà un’altra moglie. Poi, con un decreto imperiale la notizia dovrà essere comunicata a tutti affinché, vista la brutta fine di Vasti, tutte le mogli continuino a ubbidire ai mariti. Infatti: «La cosa piacque al re e ai principi, e il re fece come aveva detto Memucan; e mandò lettere a tutte le province del regno, a ogni provincia secondo il suo modo di scrivere e a ogni popolo secondo la sua lingua, perché ogni uomo possa essere padrone in casa propria» (1,21-22).
Qui la farsa cede il passo alla tragedia, deve cederlo. Leggendo oggi questo brano non possiamo non avere negli occhi e nel cuore le donne iraniane, sorelle di Vasti e di quelle antiche donne persiane, che stanno ancora lottando contro altri decreti emanati da maschi che legiferano su cosa le donne possono o non possono fare, dire, indossare. Usciamo così dal libro e arriviamo nelle piazze, nelle case, nelle carceri, nei cimiteri, nel decreto di condanna a morte di Fahimeh Karimi, una madre di tre figli, che ha solo detto il suo “no” libero. Allora non dobbiamo indugiare sul tono comico e grottesco del racconto, non possiamo permettercelo. Non dobbiamo perdere neanche una goccia delle lacrime delle donne che, ieri e oggi, continuano a essere oggetto di decreti di maschi che temono che il gesto di una donna libera possa destabilizzare un ordine da loro imposto. L’autore del libro di Ester, o forse una mano femminile che l’affiancava o lo ispirava (la storia della letteratura conosce mani di donna che hanno usato quelle dei loro mariti per scrivere parole che la cultura dei maschi del loro tempo non consentiva loro di firmare), sapeva che quel gesto sovversivo era qualcosa di molto serio.
Ogni anno durante la festa di Purim il rotolo di Ester si legge per intero, a voce alta e tutti insieme nella sinagoga, e lo si legge interamente srotolato, come fosse una lettera. Le donne e gli uomini ascoltavano e ascoltano la stessa lettera, udivano e odono le stesse parole. Ma il senso del racconto non era e non è lo stesso per maschi e femmine: non è mai lo stesso, soprattutto quando si parla di donne, di famiglia, di vita e di morte. La lettura rabbinica dell’episodio di Vasti, ad esempio non è stata tradizionalmente simpatetica con la regina (come non lo è stata, in genere, neanche la tradizione cristiana): «La scellerata Vasti soleva prendere le figlie di Israele, farle svestire, e farle lavorare di sabato… E così, come lei aveva fatto, fu fatto a lei» (Talmud, bMeg.12b). Non esiste soltanto una benedetta solidarietà tra donne; c’è sempre stata anche una solidarietà diversa tra maschi riguardo le donne.
Mi piace pensare che forse alcune o molte donne ebree e poi cristiane, avranno dato un altro senso a quella antica storia. Qualcuna, forse, avrà solidarizzato con Vasti, non avrà approvato il decreto del re che ribadiva che i mariti dovevano essere “padroni” dentro le loro case. E forse qualcuna durante Purim o dopo una celebrazione avrà iniziato a sognare case senza padroni, avrà visto famiglie trasformate in luoghi di reciprocità e di uguaglianza. E poi, finita la cerimonia, avrà parlato di quell’episodio lungo la strada tra la sinagoga, la chiesa, e la casa. Ne avrà parlato durante il pranzo, poi, di nuovo fuori casa, avrà continuato nel mercato e nella piazza, fino a far diventare il discorso impegno politico per provare a cambiare un giorno, un benedetto giorno, quei decreti sbagliati. Qualche volta le donne ci sono riuscite, altre volte no: ma continuano a sognare, a parlare, a lottare. La buona lettura della Bibbia non è soltanto esercizio spirituale o religioso. Quando e se diventa appena questo, la Bibbia si rimpiccolisce, e noi con essa. La parola che ascoltiamo durante le liturgie genera e nutre le parole che ci diciamo tra noi quando torniamo a casa, lungo la strada. Alcune di queste parole figlie della parola hanno fatto migliore il mondo, e hanno fatto migliore la Bibbia.
l.bruni@lumsa.it