Stella dell'assenza /5. Il valore dei doni e dei condoni
Ester non era propriamente bella. Non aveva certo la grazia della giovinezza, visto che quando giunse a corte aveva 75 anni. Per tutti quegli anni il sovrano aveva tenuto il ritratto di Vasti appeso in camera, non appena vide Ester il suo ritratto prese il posto di quello di Vasti: la nuova regina riuniva in sé la grazia della vergine e il fascino della donna matura
Louis Ginzberg, Le leggende degli ebrei, VI
Il valore dei regali tra Natale ed Epifania dipende dalla qualità dei doni tra Epifania e Natale. Il panettone che portiamo alla zia anziana lontana dice qualcosa di buono e bello se durante l’anno quel regalo natalizio è stato preceduto da qualche telefonata, una visita, tempo, abbracci, parole buone. Noi parliamo anche con le cose, le parole qualche volta non bastano, e così liberiamo gli oggetti dalle gabbie commerciali e le facciamo diventare bottiglie alle quali affidiamo messaggi familiari, amicali, affettivi. I doni sono i verbi che collegano e danno senso ai nostri regali, e li fanno entrare nei nostri discorsi più belli. Il Dio della Bibbia aveva riempito l’umanità di regali: l’alleanza, la promessa, la Legge, i profeti, la sapienza, Giobbe, Rut; e così, un giorno, il discorso d’amore di Dio con noi (il logos) divenne dono di un bambino – e in ogni bambino che nasce continua il discorso della gratuità di Dio con la terra.
«Ester piacque a Egài, il custode delle donne, ed entrò nelle buone grazie di lui; egli si preoccupò di darle il necessario per l'abbigliamento e il vitto; le diede sette ancelle scelte nella reggia e assegnò a lei e alle sue ancelle l'appartamento migliore nella casa delle donne. Ester non aveva detto nulla né del suo popolo né della sua famiglia, perché Mordecai le aveva proibito di parlarne» (Est 2,9-10). Questi primi dettagli sulla figura di Ester l’accostano alle figure, sorelle, di Giuseppe e di Daniele. Ester, come i suoi due connazionali, si conquista la benevolenza dei “capi”. La Bibbia loda il martirio per testimoniare la fede (per esempio, la madre e i fratelli Maccabei), ma apprezza anche la prudenza e la capacità di trasformare una situazione sfavorevole in propizia. Torna lo sguardo non-ideologico della Bibbia sulle azioni umane: c’è un grande valore nel dare la vita per una fedeltà identitaria, ma c’è un altro valore nel cercare una buona via di fuga da una situazione complicata. Nella Bibbia troviamo entrambi i valori, e non conviene scartarne nessuno. Possiamo scegliere da quale parte stare, in certi momenti dobbiamo scegliere. L’umanesimo biblico ci ricorda però che entrambi i valori hanno diritto di cittadinanza dentro la stessa storia, e così ci dice di non usare la nostra scelta come arma per condannare quella diversa degli altri.
Diversamente dai suoi due illustri compatrioti, Ester non rivela subito la sua nazionalità, non dice il suo vero “nome” ebreo, non rivela la sua identità più intima. Sta anche qui una delle dimensioni dell’essere donna di Ester: tra le molte povertà delle donne nel mondo antico (e, qualche volta, ancora nel nostro) c’era anche la difficoltà di rivelare la verità su sé stesse. Questa povertà identitaria è la condizione di molti “esuli”, ma per le donne (e per i poveri) lo è diversamente e di più. Non hanno spesso il “lusso” di poter dire tutta la verità, non per codardia ma semplicemente perché certe società non danno loro quel minimo di libertà pubblica necessaria per poter esercitare nella sfera privata la “libertà del nome”. La mancanza di libertà più grave è infatti l’impossibilità di poterla perdere, perché, semplicemente, non ce l’abbiamo, perché siamo schiavi. Ecco perché essere imprigionati e persino uccisi per esigere una libertà che non c’è ancora dice, paradossalmente, che stiamo già iniziando un processo di liberazione, che stiamo uscendo dalla schiavitù.
«Quando per Ester, figlia di Aminadàb, fratello del padre di Mordecai, si compì il tempo di entrare dal re, lei non chiese cosa alcuna se non quella che le aveva ordinato Egài, l’eunuco, il custode delle donne; Ester, infatti, trovava grazia presso tutti quelli che la vedevano» (2,15). Ester conquista, come Giuseppe e Daniele, la simpatia di chi le sta attorno. L’eunuco le dà un consiglio. I versetti precedenti ci avevano infatti detto che quando per una ragazza arrivava il proprio turno per entrare nell’alcova del re, a ogni ragazza «tutto ciò che chiedeva le veniva dato» (2,13). Non è un versetto semplice. Non si capisce cosa fosse quel “tutto ciò” che le ragazze potevano chiedere, e gli interpreti (maschi) si sono sbizzarriti con l’immaginazione (vestiti? profumi afrodisiaci? doni?). Probabilmente c’è qui un riferimento nascosto a qualche antica pratica persiana nota all’autore (e al suo pubblico) ma non a noi. Forse la ragazza dell’harem aveva diritto a portare nel primo decisivo convegno qualcosa, parte della propria dote, da usare nella competizione con le altre donne, un espediente lecito per vincere la gara.
Ciò che comunque interessa al testo è far risaltare la scelta diversa di Ester, che chiede solo quanto consigliatole dal suo guardiano. Perché? La scelta ci appare intelligente: in un contesto inedito per lei la scelta ottima è seguire le indicazioni di chi conosceva bene sia le preferenze del re sia le regole del gioco. Ester si fida perché ha buone ragioni per fidarsi, e la scelta si rivela giusta: «Il re amò Ester più delle altre donne: ella trovò grazia più di tutte le fanciulle e perciò egli pose su di lei la corona regale e la fece regnare al posto di Vasti» (2,17). Ester sembra più scaltra che modesta – così ce la mostra il testo. Una scaltrezza che al libro interessa più del contesto morale incerto e molto discutibile. A noi invece è proprio l’ambiente etico che deve interessare. Ci colpisce che Ester si unisca a un re pagano, che venga scelta come “favorita” perché “amata” (‘ahab) più di tutte le altre – amata di eros, non certo di agape. Noi, oggi, dobbiamo pensare alla regina Vasti, qui menzionata per l’ultima volta, al suo gesto di rifiuto che avevamo apprezzato e che ci rende difficile gioire per la sua sostituzione con la docile Ester.
C’è poi un secondo dettaglio importante. Il testo, con tutta la Bibbia, non ha paura di far emergere le predilezioni. Il re sceglie Ester, che “amò più delle altre donne”. Anche Rebecca amava Giacobbe più di Esaù, e «Giacobbe amava Giuseppe più di tutti i suoi figli» (Gn 37,3). Noi queste cose non le diciamo, soprattutto non le ammettiamo nei rapporti familiari, sebbene la vita sia piena di predilezioni. La Bibbia conosce il cuore umano, e così vi vede anche le predilezioni, e non ne dà, in genere, una spiegazione né una legittimazione: semplicemente le registra come un dato di fatto. Noi invece non accettiamo le predilezioni senza spiegazioni, cerchiamo ragioni, e le troviamo anche quando non ci sono. Ieri queste ragioni erano il sangue, la nobiltà, la casata, l’istruzione; oggi è il merito e la sua ideologia (la meritocrazia) che fa di tutto per convincerci che ciò che sono in realtà predilezioni (magari della vita e della fortuna) siano invece scelte guidate da ragioni giuste ed eque. Noi non sappiamo se Ester meritò la predilezione: sappiamo solo che il re l’amò più delle altre.
Ciò che davvero conta per la Bibbia è che dentro questa scelta si incominciò a scrivere una misteriosa storia della salvezza per il popolo oppresso. Della moralità del re, della sorte delle altre ragazze e della pietas nei loro confronti, alla Bibbia qui interessa poco. Ma tutto ciò a noi può, deve invece interessare molto. Perché dopo due millenni e mezzo di umanesimo, fecondato anche dal seme biblico, noi dobbiamo stare accanto le ragazze scartate, accompagnarle mentre tornano nella casa delle donne dalla quale non usciranno più, e da lì fare all’autore del testo alcune domande difficili: perché per presentarci Ester hai voluto farla vincitrice di un concorso così disumano? Perché per eleggere lei hai voluto scartare tutte le altre (“quattrocento ragazze”, aggiunge la versione di Ester riportata da Giuseppe Flavio)? Non era impossibile, narrativamente, immaginare un altro ingresso di Ester dentro la storia della salvezza, più rispettoso della dignità delle donne? Forse l’autore ci risponderebbe che voleva fare di Ester un “fiore del male” della Persia, una stella lucente nel buio di una notte etica e spirituale. Per questo ce la fa conoscere dentro l’alcova di un re bizzarro e lascivo, dove era stata “condotta”, “portata”: deportata. E allora, alla fine, capiamo: quell’antico autore non ci sta descrivendo una scena romantica, non ci sta parlando soltanto di un re e dei suoi commerci con il suo harem: ci sta parlando invece di un popolo in esilio, deportato e schiavo, proprio come quelle ragazze. Il popolo ebraico (le donne soprattutto) che ascoltava questo racconto forse si identificava di più con le ragazze non scelte e rimandate nel serraglio; magari simpatizzava con le ragazze sconfitte e schiave, non con la nuova regina.
Da qui viene un insegnamento prezioso. È fondamentale, in ogni lettura biblica, decidere dove collocare lo sguardo e il cuore. Ogni giorno lettori diversi leggono gli stessi testi biblici e ne traggono messaggi opposti perché opposti sono i loro punti di osservazione del testo e della vita. C’è chi si immedesima con Ester, chi con le concubine, qualcuno con l’eunuco, e altri con il re. Punti di vista diversi, tutti presenti nel testo, non tutti buoni, non tutti leciti. Il mio luogo è uno solo: l’Iran e l’Afganistan di oggi, accanto a donne ancora troppo simili a quelle antiche donne persiane. «Poi il re fece un banchetto per tutti i suoi amici e i potenti per sette giorni, volendo solennizzare così le nozze di Ester; condonò pure i debiti a tutti quelli che erano sotto il suo dominio e fece regali secondo la capacità della mano del re» (2,18). Condoni e regali. I regali stanno bene accanto ai doni, ma stanno malissimo vicino ai condoni. Perché ieri e oggi i condoni sono l’anti-dono, sono il suo antidoto, perché minano i doni buoni alla base del patto sociale. Sono mezzi per ottenere a buon mercato consensi futuri dei sudditi e così ridurre la loro libertà e autonomia. I re amano molto i condoni perché hanno il terrore dei doni.
La storia umana è attraversata dal conflitto tra doni dei poveri e condoni dei re. Tra i Magi che cercano il bambino per onorarlo con doni e Erode che vorrebbe uccidere quel bambino che con la sua gratuità lo deporrà dal trono. Ma gli angeli amano i bambini e i doni, visitano i Magi in sogno e ci salvano.
l.bruni@lumsa.it
P.S. Nelle prossime due domeniche, doppiamente festive anche secondo il calendario editoriale, “Avvenire” non sarà in edicola: continueremo dunque il commento a Ester domenica 8 gennaio. Buon Natale e buon anno nuovo.