Radici di futuro /4. Restituire la moneta bambina
C’è stato un lungo tempo quando i bambini e i ragazzi non diventavano grandi dentro le loro case. La miseria generava molti piccoli vagabondi. Alcuni scappavano da orfanotrofi, altri senza famiglia giravano in cerca di lavoretti stagionali, qualcuno si inventava piccoli spettacoli ambulanti per raggranellare qualche soldo. Tutti esposti alle violenze di stanziali e viandanti. Nell’Ottocento se ne incontravano ancora molti in Europa. E se ne incontrano ancora troppi in molte città del mondo. In Brasile li chiamano meninos de rua, in altri Paesi non hanno un nome, vivono sulla strada, senza casa e senza famiglia, esposti nelle piazze della deprivazione.
Con uno di questi ragazzi vagabondi si imbatté Jean Valjean. Gervasino sarà il suo secondo buon samaritano. Era stato appena "redento" dal vescovo Myriel, che come risposta al suo furto dell’argenteria gli aveva fatto il secondo dono straordinario dei candelieri e della libertà. Ora vaga nei campi, confuso, in preda a mille pensieri: «Provava una specie di collera; non sapeva contro chi» (I Miserabili, I,13). Incontrare l’agape di Myriel dopo venti anni di prigionia fu per lui un evento a un tempo meraviglioso e tremendo: «Nell’uscire da quella cosa deforme e nera chiamata galera, il vescovo gli aveva fatto male all’anima come una luce troppo viva gli avrebbe fatto male agli occhi nell’uscire dalle tenebre». Quel dono eccessivo ricevuto da Myriel dopo il suo furto faceva vedere a Jean Valjean con una nuova forza il furto che aveva subìto della sua propria esistenza: «Come una civetta che veda d’un tratto levarsi il sole, il forzato era stato abbagliato e come accecato dalla virtù». E così «contemplò la sua vita e gli parve orribile».
Chiunque sia stato raggiunto da un amore grande e gratuito dentro una condizione di errore e di peccato sa che l’incontro con quella luce agapica fa male all’anima: «Gli pareva di vedere Satana alla luce del paradiso». Vediamo di più, capiamo di più, soffriamo di più: la luce ci fa vedere il nostro buio in tutta la sua tremenda grandezza, questa nuova visione del passato ci fa paura, e la paura può diventare angoscia. Ecco perché qualche volta, molte volte, l’incontro con un autentico amore gratuito non basta per iniziare davvero una vita nuova: quella grande luce non ci libera dal nostro passato che, paradossalmente, ci pesa di più perché ne vediamo tutta la gravità.
In questa battaglia interiore di luce e tenebra, Jean Valjean si siede dietro a un cespuglio: «Voltò la testa e vide venire dal sentiero un piccolo savoiardo di dodici d’anni che cantava, con la ghironda [piccola chitarra] sul fianco e la cassettina della marmotta sulla schiena, uno di quei ragazzi docili e allegri che vanno da un paese all’altro, mostrando le ginocchia dai buchi dei pantaloni». Il ragazzo non sapeva di essere osservato, e giocava lanciando le sue poche monete e raccogliendole col dorso della mano. Una moneta di quaranta soldi gli sfuggì «e andò a rotolare verso il cespuglio, fino a Jean Valjean. Jean Valjean vi posò sopra il piede». Il piccolo gli si avvicina: «Signore – disse il piccolo savoiardo con la fiducia dell’infanzia, formata di ignoranza e di innocenza –, il mio soldo!». Jean Valjean gli chiede il nome: «Gervasino (Petit-Gervais), signore». «Vattene – disse Jean Valjean». «Il mio soldo – gridò il fanciullo – il mio soldo d’argento! Il mio denaro!... Il bambino piangeva». A un certo punto, «To’, sei ancora tu?, disse Valjean, e rizzandosi bruscamente in piedi, colla scarpa sempre posata sulla moneta d’argento, soggiunse: Vuoi andartene o no?». A quel punto «il ragazzo lo guardò spaventato, poi cominciò a tremare da capo a piedi e, dopo pochi secondi di stupore, si diede a fuggire, correndo con tutte le sue forze».
Jean Valjean rimase seduto. Si faceva buio. Quando si china per riprendere il bastone vede il soldo: «Che cos’è questo?». «Si mise a guardare lontano nella pianura... E gridò con tutte le sue forze: Gervasino, Gervasino». Il ragazzo era ormai lontano, e Jean Valjean continuava a gridare: «Gervasino, Gervasino». Incontrò un prete, gli chiede del ragazzo, invano. Continua la sua corsa disperata: «Gervasino, Gervasino, Gervasino, gridò per l’ultima volta». Poi cadde sfinito, e «con il viso tra le ginocchia gridò: sono un miserabile». Il cuore gli scoppiò: «Era la prima volta che piangeva da diciannove anni».
È arrivata una seconda luce forte, una luce diversa. Non è arrivata dall’agape del vescovo; è giunta dalla «ignoranza e innocenza» di un bambino di strada. La violazione di quell’innocenza ignorante sta continuando la resurrezione iniziata dal dono di Myriel. Quel nome di bambino – Gervasino – ripetuto ossessivamente molte volte, gridato, urlato con disperazione, sta per far rotolare la pietra del sepolcro.
Per le conversioni vere e durature capire solo con la testa non basta: la razionalità, l’intelligenza sono troppo fragili. Quei pochi, pochissimi eventi che ci cambiano davvero – a volte uno solo – non sono frutto della nostra volontà, dipendono pochissimo dalle nostre intenzioni. Accadono e basta: ci attendono dietro un cespuglio mentre vaghiamo confusi senza cercare nulla.
Jean Valjean era già dentro un processo di conversione, la sua resurrezione era già iniziata sulla porta di Myriel. Ma per concludersi c’era bisogno dell’incontro con l’innocenza violata di un innocente. Se a far rotolare quella moneta d’argento fosse stato un adulto l’effetto non sarebbe stato lo stesso. I bambini contengono e custodiscono un mistero di gratuità assoluta e di innocenza. Quando un adulto ruba un soldo a un ragazzo, quel furto è di un’altra natura: è furto della vita. È la condizione adulta che ci insegna a distinguere le persone dalle loro cose (senza riuscirci mai del tutto). Le cose bei bambini sono invece intrecciate con la loro carne. Per questo i loro beni, persino le loro poche monete, non sono quelli degli adulti: la materia (la res) è la stessa, ma quando le cose arrivano nelle mani dei bambini quella materia cambia "sostanza" anche se non cambiano i suoi "accidenti": le mani dei bambini operano "transustanziazioni" diverse ma non meno reali di quelle operate dalle mani dei sacerdoti. Violare le loro cose è sacrilegio. Nell’oikonomia della vita il valore delle monete maneggiate dai bambini è diverso, il loro corso è un altro – rotolano altrimenti. E così ci ricordano che le monete, tutte le monete, prendono il loro vero valore dai rapporti dentro i quali vengono usate, abusate, donate, rubate. Ieri e oggi, nella letteratura e nella vita.
Jean Valjean, per una autentica grazia – Hugo ci sta facendo un trattato di teologia incarnata della grazia –, prende improvvisamente coscienza di aver fatto un sacrilegio, di aver violato un luogo sacro, di aver profanato un’ostia. Perché ogni cuore di bambino è tabernacolo – il cuore di ogni persona lo è. Non avrebbe potuto capire questo sacrilegio senza il dono agapico del vescovo; ma quel dono straordinario non avrebbe generato i suoi frutti di vita senza la profanazione del mistero di quella moneta bambina. Il cuore di Jean Valjean è stato capace di provare terrore e angoscia per quella moneta rubata perché prima era stato ferito dal dono di Myriel. L’esperienza di essere amati con un amore-agape inizia con un taglio dell’anima che crea una fessura dove può entrare un nuovo dolore che prima non potevamo conoscere perché il cuore era troppo indurito. Quando si inizia una resurrezione l’amore e il dolore convivono, e riuscire a provare una qualità nuova di dolore morale è il primo segno che è cambiato davvero il cuore.
E dentro questo dolore acutissimo, Hugo fa dire a Jean Valjean una delle sue frasi più belle: «Una voce gli diceva all’orecchio che egli aveva attraversato l’ora solenne del suo destino, che non c’era più via di mezzo per lui, che se ormai non diventava il migliore degli uomini sarebbe stato il peggiore». Nelle giornate ordinarie della vita ci si presentano scelte il cui esito ci farà un po’ migliori o un po’ peggiori. Ci sono però alcune poche giornate diverse. Sono i giorni del grande giudizio sulla nostra vita, e il giudice siamo noi. In questo giorno si sceglie tra il paradiso e l’inferno: il purgatorio non c’è più. Si sente con una chiarezza infinita che o proviamo a diventare il migliore o certamente diventiamo il peggiore degli uomini della terra. Fu il giorno di Padre Kolbe, il giorno di Cristo sul Golgota, di Francesco di fronte a suo padre e al vescovo di Assisi; è anche il giorno di tanti di noi, donne e uomini ordinari, che però conosciamo ogni tanto un giorno straordinario. È legato a questi giorni il senso vero della parola "salvezza" e dell’altra, simmetrica: "perdersi". Si può sbagliare e vivere una vita sbagliata perché non vediamo il male che stiamo facendo: ma se un giorno, per una grazia, vediamo finalmente quel male e non scegliamo di non farlo più, il male di ieri diventa l’inferno di domani.
In questo incontro mancato tra l’ex-galeotto e il piccolo savoiardo c’è, poi, un ultimo messaggio prezioso, per noi e per le persone che amiamo. Quando una persona che è stata amata molto inizia una nuova vita c’è spesso la fase che va dalla porta di Myriel al cespuglio di Gervasino. Aveva ricevuto una autentica grazia, noi la vediamo cadere di nuovo e pensiamo che quel primo dono e quella speranza erano andati sprecati, erano solo illusioni. Hugo ci dice: attento! Forse stai osservando Jean Valjean tra la porta della curia e il cespuglio. Quella cattiveria che non dovrebbe fare e invece fa può essere il primo passo della vita nuova. È già uomo nuovo sebbene ancora rivestito del dolore dell’uomo vecchio: «Nel rubare quel denaro a quel bambino egli aveva fatto una cosa di cui già non era più capace».
Troppe volte non capiamo e condanniamo perché non diamo a Jean Valjean il tempo di gridare disperato: «Gervasino!». È già sulla strada giusta ma per continuare il cammino buono ha bisogno anche della nostra fiducia. Jean Valjean fu salvato da Myriel e fu salvato da Gervasino, insieme: dall’innocenza figlia della virtù di un vecchio e dall’innocenza naturale di un fanciullo povero. La grande letteratura ci fa attraversare questa esperienza fino alla fine, e poi ci ripete: "Va’, e fa’ anche tu lo stesso".
Infine, è forte oggi – tra i ragazzi e le ragazze di Fridays for Future e di Economy of Francesco – rivedere gli occhi di Gervasino che ci chiede il suo soldo rubato. Quando riudiremo il suo pianto? Quando alzeremo il nostro piede pesante dalla terra? Quando gli restituiremo la sua moneta bambina?
l.bruni@lumsa.it