Il mistero rivelato / 9. Quanto resta della notte?
Sono venuti al mattino da me per farsi un po’ consolare
Ma penso di essere un cattivo consolatore. Sono capace
di star ad ascoltare
ma non so dire quasi nulla
Dietrich Bonhoeffer
Resistenza e resa, 1 febbraio 1944
La nostra vita non è accompagnata solo da persone, animali, piante, dal mare e dalle montagne. Anche le cose, gli oggetti, i nostri manufatti, hanno una loro misteriosa vita. Si impregnano della nostra umanità, sono contagiati dai nostri odori e profumi, e noi dai loro – tutti siamo rimasti senza fiato, almeno una volta, nell’aprire un vecchio armadio e rincontrare il nonno nell’odore inconfondibile di una sua vecchia cravatta. Le cose ci allungano la vita, ce la colorano, danno sapore e fragranza al nostro agire quotidiano. Parlano, raccontano, ricordano, ci chiamano. Abitiamo il mondo anche arricchendolo con le cose, che diventano segni, linguaggi, compagnia, nuove parole.
Il capitalismo ha moltiplicato a dismisura le cose, e un giorno la terra si è ritrovata strapiena di oggetti. Ma le cose diventate infinite hanno perso odore, spirito, anima, vita. Se ho poche cose, ogni cosa è speciale proprio perché è un pezzo unico: la conosco, ha una storia che mi parla, ha un nome proprio. Se invece ho venti paia di scarpe e trenta vestiti, sono circondato da più cose ma da meno nomi – è questa una delle povertà dell’opulenza, una miseria che la nostra contabilità nazionale registra all’incontrario, ma che la nostra anima può ogni tanto intercettare nelle solitudini inondate da oggetti muti. L’uomo antico era immensamente più competente di noi nel linguaggio delle cose, conosceva la loro anima, sapeva discernere i loro spiriti buoni da quelli cattivi. Era perennemente immerso in un giardino magico, dove tutto gli parlava con parole di vita e di morte, dove nulla era silente. Un giorno ci siamo svegliati e abbiamo chiamato sogno infantile tutto questo mondo magico e lo abbiamo espulso dalla realtà seria. Qualcuno però ha continuato a sognare, non ha smesso di vivere in un mondo popolato di angeli, di spiriti, in una terra abitata da Dio. La Bibbia è il regno invisibile dei sognatori di Dio – e se un giorno scoprissimo che quel sogno di piccoli era più vero della nostra realtà adulta?
Dopo la visione del re di Babilonia, ridotto a uomo-lupo e poi ristabilito nel suo regno (cap. 4), la narrazione del libro di Daniele ci porta in un ambiente totalmente diverso. Ci ritroviamo dentro un grande banchetto di corte. Siamo alla fine dell’impero babilonese. Baldassàr è il re (o il reggente durante l’assenza del re padre). Per il testo Baldassàr è figlio di Nabucodònosor, ma è probabile che come nel capitolo precedente l’autore confonda Nabucodònosor con suo genero Nabonide, l’ultimo re babilonese. I dati storici del libro di Daniele – ormai lo sappiamo – sono mescolati con la leggenda, sebbene oggi alla luce di nuove scoperte archeologiche crediamo che siano meno fantasiosi di quanto ritenessero gli esegeti del secolo scorso.
«Il re Baldassàr imbandì un grande banchetto a mille dei suoi dignitari e insieme con loro si diede a bere vino. Quando Baldassàr ebbe molto bevuto, comandò che fossero portati i vasi d’oro e d’argento che Nabucodònosor, suo padre, aveva asportato dal tempio di Gerusalemme, perché vi bevessero il re e i suoi dignitari, le sue mogli e le sue concubine» (Daniele 5,1-2). La presenza del vino e delle donne crea un ambiente orgiastico. Il punto centrale del racconto è l’uso sacrilego dei vasi trafugati dal tempio di Gerusalemme, oggetti sacri del culto trasformati in bicchieri per il vino in un banchetto godereccio. La profanazione o il sacrilegio è una delle forme che nella Bibbia prende l’idolatria, oggetti creati e pensati per onorare Dio che vengono snaturati e pervertiti da chi vuole affermare di essere più grande della divinità alla quale quegli oggetti erano riservati, perché segnando i confini tra sacro e profano si vuole fare dio.
Noi facciamo molta fatica a comprendere la gravità di questo peccato, perché nel nostro mondo svuotato di dèi abbiamo perso il senso stesso della profanazione. L’uomo antico, invece, che aveva molto chiaro il confine essenziale tra il sacro e il profano, era infinitamente sensibile al superamento improprio di quella soglia.
Eppure qualche traccia di quel peccato resta, secolarizzata, nella nostra società occidentale, e in aspetti non così secondari. Tutti capiamo cosa sia la profanazione delle tombe, e tutti ne avvertiamo la gravità non solo religiosa. Come sappiamo che non tutte le cose, non tutti gli oggetti che ci circondano sono uguali. Ce ne sono alcuni diversi perché fanno parte della nostra identità – personale familiare comunitaria –, hanno una natura diversa nascosta sotto il loro involucro materiale.
Alcuni doni, ad esempio, sono tra questi. Finché ci siamo voluti bene e abbiamo condiviso la vita, quel libro e quella catenina ricevuti in dono erano oggetti mescolati tra molti altri, ma noi sapevamo riconoscerli, avevano un crisma e una luce diversi. Erano custoditi, protetti, separati ("santi") da tutti gli altri. Il giorno che la nostra storia finisce per sempre, uno dei primi segni di questa morte è il ritorno di quegli oggetti-dono tra le cose ordinarie: si spegne quella luce speciale, si cancella il loro crisma. E così si percorre la strada a ritroso, si oltrepassa di nuovo il confine, quei doni tornano cose, archiviate tra gli oggetti normali; o almeno ci proviamo, vorremmo che cambiassero natura, che non stessero lì a riaprire ogni giorno la ferita negli occhi e nel cuore: ma le cose hanno una misteriosa resiliente autonomia, non è facile cancellare da esse il nostro passato perché i nostri rapporti li hanno cambiati per sempre. Ecco perché a volte finiamo per distruggere quei doni o, come si faceva una volta, a per ridarli indietro, ammutolire per sempre il loro demone che continua a gridare. Chi ha una biblioteca – per fare un altro esempio – sa quali libri gli sono stati donati da amici, maestri, colleghi, e quali ha acquistato sul mercato. Un ospite vede solo libri, noi invece in alcuni rivediamo volti, parole, segni – forse una definizione della fede è il dono di occhi che ci fanno capaci di riconoscere la natura dei libri della "biblioteca della terra": la biblioteca è la stessa per tutti, ma qualcuno dà un nome al datore di alcuni libri speciali senza diventare padrone neanche di un solo foglio.
Una notte entrarono a casa mia i ladri. Rubarono alcuni oggetti e alcune mie penne. Tra queste c’era quella stilografica che il mio caro professore Pier Luigi Porta mi aveva regalato il giorno che divenni docente di ruolo a Milano, con sopra incise le mie iniziali. Per gli altri oggetti rubati provai turbamento e dispiacere, ma per quella penna la parola che mi salì immediatamente dall’anima fu: profanazione.
Nel mezzo dei fumi della festa, ecco un evento inatteso e sconvolgente: «In quel momento apparvero le dita di una mano d’uomo, che si misero a scrivere sull’intonaco della parete del palazzo reale, di fronte al candelabro, e il re vide il palmo di quella mano che scriveva. Allora il re cambiò colore: spaventosi pensieri lo assalirono, le giunture dei suoi fianchi si allentarono, i suoi ginocchi battevano l’uno contro l’altro» (5,5-6). Anche questa volta, di fronte a una visione inquietante, il re convoca i professionisti della interpretazione degli arcani: «Allora entrarono tutti i saggi del re, ma non poterono leggere quella scrittura né darne al re la spiegazione» (5,8). Dopo l’ennesimo fallimento dei maghi di corte, dovremmo chiederci perché i re babilonesi continuano a servirsi di una classe di indovini che non ne indovinano una! Forse perché ogni potere politico e religioso ha un bisogno essenziale di maghi ed esperti (scrittori dei discorsi, consulenti, futurologi e scenaristi), che nei tempi ordinari in genere riscuotono anche un discreto successo. È, però, durante le grandi crisi dove i maghi di professione e gli indovini di regime si rivelano totalmente fallimentari. Ogni crisi epocale è una "distruzione creatrice" di consulenti ed esperti, da cui nasce una nuova classe che farà la stessa fine con la crisi successiva. Nelle visioni e nei sogni straordinari ci vorrebbe almeno un profeta, che però quasi mai c’è perché è stato eliminato dai successi dei falsi profeti nei tempi facili.
Ed ecco un nuovo colpo di scena: «La regina, alle parole del re e dei suoi dignitari, entrò nella sala del banchetto e, rivolta al re, gli disse: "I tuoi pensieri non ti spaventino né si cambi il colore del tuo volto. C’è nel tuo regno un uomo nel quale è lo spirito degli dèi santi... Daniele, che il re aveva chiamato Baltassàr, uno spirito straordinario, intelligenza e capacità di interpretare sogni, spiegare enigmi e sciogliere i nodi. Si convochi dunque Daniele ed egli darà la spiegazione"» (5,10-12). Entra la regina madre, che per Erodoto (Annali I, 185-188) era la nonna di Baldassàr: si chiamava Nitocris, madre di Nabonide.
È la prima donna che compare nel libro di Daniele, finora dominato da sole figure maschili. La regina presenta alcune caratteristiche che ritroviamo spesso nelle donne nella Bibbia. Arrivano per risolvere problemi difficili quando gli uomini con le loro tipiche risorse si sono arenati. Risolvono il problema facendo uso della memoria, ricordando ciò che gli uomini hanno dimenticato.
Ricordati è il primo verbo di queste soluzioni diverse: ricordati delle cose buone che hai dimenticato, delle cose vere fatte dai padri. Ricorda le radici, perché le radici sono il tuo futuro. Un "ricordati" che dentro le grandi crisi dei rapporti umani prende spesso la forma del: "ricordati di te", ricordati chi sei veramente, perché solo da lì puoi trovare la soluzione.
La regina, poi, sa riconoscere la presenza dello spirito degli dèi santi. Lei non credeva nel Dio-YHWH di Daniele, i suoi dèi erano altri, ma per istinto sa intercettare lo spirito buono di Dio ovunque soffi, meno condizionata dai dogmi e dai confini posti dalle religioni. C’è sempre stata una grande amicizia tra i profeti e le donne, e continua a esserci in misteriosi incontri di libertà diverse.
Infine, la prima dimensione del problema che viene in evidenza alla regina non è legata al potere politico né alle strategie di corte. I tuoi pensieri non ti spaventino né si cambi il colore del tuo volto: è la condizione personale del nipote che la preoccupa, le sue emozioni, le sue paure. La soluzione del problema è inseparabile dal benessere di persone concrete, la gestione del bene e del giusto non può avvenire senza la cura delle emozioni e delle relazioni.
Quanto ci mancano donne e madri nei tentativi di soluzione dei conflitti e delle guerre! Quanto dobbiamo aspettare prima che una donna diversa entri oggi sulla scena di una guerra tutta occupata da maschi, dalle loro allucinazioni amplificate dai loro esperti? Sentinella: quanto resta della notte?
l.bruni@lumsa.it