Più grandi della colpa /5. I necessari custodi del quasi
Vorrei passare come una tela su cui lo sguardo crocifisso spegne gli idoli
Heleno Oliveira, Se fosse vera la notte
È molto comune che per descrivere la corruzione morale e spirituale più grande, la Bibbia usi le parole dell’economia. E lo fa perché non c’è nulla di più spirituale e teologico dell’economia, della politica, del diritto. La fede parla soltanto con le parole della vita. E allora non ci sono parole più vere per dire la natura e la qualità della nostra vita spirituale di: salario, profitto, tasse, tangenti, finanza, appalti, lavoro, impresa. Sono le parole più teologiche e spirituali disponibili "sotto il sole", che conferiscono verità anche alle parole della fede. Perché se non sappiamo dire la spiritualità con le parole dell’economia, del diritto, della politica, è molto probabile che quelle parole spirituali siano, di fatto, preghiere agli idoli, anche quando le pronunciamo, devoti, dentro templi, sinagoghe o chiese. Questo la Bibbia e la sua vera laicità lo sapevano molto bene - noi oggi lo sappiamo molto meno, perché abbiamo dimenticato la Bibbia e la laicità.
«Quando Samuele fu vecchio, stabilì giudici d’Israele i suoi figli... I figli di lui però non camminavano sulle sue orme, perché deviavano dietro il guadagno, accettavano regali e stravolgevano il diritto» (1Samuele 8,1-3). Come era accaduto a Eli nel tempio di Silo, anche Samuele ha generato figli corrotti. La Bibbia per porre fine a una storia collettiva deve spezzare la catena delle generazioni, lungo la quale si snoda l’Alleanza. Per far questo ricorre in genere alla sterilità delle mogli, ma qualche volta anche alla non giustizia dei figli. La loro funzione è la stessa, perché le tradizioni (famigliari, spirituali, aziendali, politiche …) muoiono per sterilità dei padri o per il tradimento dei figli. Ieri e oggi.
La corruzione dei figli di Samuele diventa il pretesto per la svolta epocale nella storia di Israele, la nascita della monarchia: «Si radunarono allora tutti gli anziani d’Israele e vennero da Samuele a Rama. Gli dissero: "Tu ormai sei vecchio e i tuoi figli non camminano sulle tue orme. Stabilisci quindi per noi un re che sia nostro giudice, come avviene per tutti i popoli"» (8,4-5). In questa richiesta che gli anziani del popolo rivolgono a Samuele, le parole che meglio spiegano la reazione del profeta sono: "come avviene per tutti gli altri popoli". L’identità di Israele stava invece in quel suo Dio diverso da quelli di "tutti gli altri popoli". Un re come gli altri, come gli altri popoli idolatri. Samuele intuisce che in questo voler avere un re come tutti gli altri popoli si nascondeva qualcosa di decisivo prima di tutto sul piano teologico e spirituale, e quindi il pericolo reale di smarrire la propria identità civile e religiosa. Ecco perché questi capitoli cruciali sull’inizio dell’era monarchica sono introdotti da una ennesima conversione-ritorno del popolo dagli idoli a YHWH: «Allora Samuele disse a tutta la casa d’Israele: "Se è proprio di tutto cuore che voi tornate a YHWH, eliminate da voi tutti i dèi stranieri e le Astarte; indirizzate il vostro cuore a YHWH e servite lui"… Subito gli Israeliti eliminarono i Baal e le Astarte e servirono solo il Signore» (7,3-4).
La Bibbia ha un rapporto difficile, ambivalente e in genere negativo con la monarchia, perché niente e nessuno più di un re rischia di trasformarsi o di essere trasformato in idolo - il faraone d’Egitto, ben noto alla tradizione biblica, era anche un dio, e divini erano in genere re e sovrani degli altri popoli. Anche se il testo offre una spiegazione etica e quindi politica per la fine dell’età dei Giudici e quindi per l’inizio della monarchia, sotto si nasconde la vera natura teologica della fortissima polemica anti-monarchica dei libri di Samuele. Chiedere un re è una espressione della stessa tentazione per i molti "vitelli d’oro" che avevano sedotto Israele dopo la liberazione dall’Egitto.
Samuele fu rattristato da questa richiesta («Agli occhi di Samuele la proposta dispiacque»: 8,6). Nel dialogo tra Samuele e YHWH è chiaramente detta la sua vera natura idolatrica: «Il Signore disse a Samuele: "Ascolta la voce del popolo, qualunque cosa ti dicano, perché non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro. Come hanno fatto dal giorno in cui li ho fatti salire dall’Egitto fino ad oggi, abbandonando me per seguire altri dèi, così stanno facendo anche a te"» (8,7-8). Non è quindi una faccenda di forma di governo né di leader politico; nella richiesta di un re, il profeta intravvede il tradimento idolatrico. In queste pagine, davvero importantissime nell’economia e nella storia biblica, c’è qualcosa che va oltre la valutazione storica che lo scrittore fa della monarchia in Israele. C’è anche un insegnamento sulla natura intrinsecamente idolatrica del potere. La corruzione e la tendenza idolatrica non sono esclusivi della monarchia. Aronne fu complice del popolo ribelle nella costruzione del vitello d’oro sotto il Sinai, alcuni Giudici e i loro figli erano stati corrotti, e la corruzione continuerà anche dopo l’esilio babilonese. Ma più il potere è assoluto, più assoluta diventa la corruzione, perché più assoluta può diventare l’idolatria. Un assoluto ancora più assoluto se il re è l’unto di YHWH, se assume un crisma sacrale che lo colloca sulla soglia che divide la condizione umana da quella degli Elohim. Un re unto confina troppo con il re-idolo degli altri popoli, come l’arca somigliava troppo ai baldacchini che portavano il dio filisteo Dagon in processione.
Il testo poi ci dice che Samuele riceve l’ordine da YHWH di accogliere la richiesta della monarchia: «Ascolta pure la loro richiesta, però ammoniscili chiaramente e annuncia loro il diritto del re che regnerà su di loro» (8,9). L’autore dei libri di Samuele, scrivendo queste storie secoli dopo i fatti, sapeva che ai Giudici seguì la monarchia, e sapeva anche che il Regno d’Israele si divise presto, e che i re che si susseguirono furono quasi tutti corrotti. Ma sapeva soprattutto che se nonostante i molti re corrotti, a cominciare da Saul, David e Salomone, il popolo fu per secoli capace di continuare la sua storia diversa di fede, quella salvezza fu generata dalla presenza, dalle parole e dalle azioni dei profeti. Samuele, poi Natan, Isaia, Geremia fecero sì che il potere dei suoi re non diventasse solo e sempre sopruso e idolatria: "ascolta pure la loro richiesta", ma "tu ammoniscili chiaramente". Senza i profeti che ammoniscono, il potere è sempre e soltanto corruzione e idolatria, dentro e fuori le religioni. E quando il potere diventa soltanto corruzione, i profeti non ci sono, sono fuggiti, sono stati uccisi, sono diventati falsi profeti di corte, o sono stati messi nel libro paga dei re. È la profezia e il suo tipico ammonimento che rendono sostenibile il giogo di ogni potere.
Samuele ubbidisce, e fa subito il suo ammonimento: «Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: prenderà i vostri figli per destinarli ai suoi carri e ai suoi cavalli… li costringerà ad arare i suoi campi... Prenderà anche le vostre figlie per farle sue profumiere e cuoche e fornaie. Prenderà pure i vostri campi, le vostre vigne, i vostri oliveti più belli e li darà ai suoi ministri. (…) Metterà la decima sulle vostre greggi e voi stessi diventerete suoi servi. Allora griderete a causa del re che avrete voluto eleggere, ma il Signore non vi ascolterà» (8,10-18). Qui Samuele non sta forzando né esagerando il rapporto tra i sovrani e i loro sudditi, sta solo descrivendo la sostanza di quanto accadeva nei regni vicini a Israele (e in quelli vicini a noi). E se in Israele e nei nostri "regni" politici ed economici i "sovrani" non consumano interamente i nostri figli e le nostre figlie, è perché c’è almeno un profeta che glielo impedisce, o che glielo ha impedito in passato.
Ma nonostante l’ammonimento di Samuele-YHWH: «Il popolo rifiutò di ascoltare la voce di Samuele e disse: "No! Ci sia un re su di noi. Saremo anche noi come tutti i popoli"» (8,19-20). Volevano veramente diventare come gli altri popoli. Ma in realtà, grazie ai profeti, divennero quasi come gli altri. I profeti, quando ci sono e non sono zittiti, sono i custodi del quasi, sentinelle che impediscono al potere di diventare perfetta idolatria corrotta, e a noi di non smarrire interamente l’anima nelle prove delle vita.
In questi dialoghi attorno alla richiesta della monarchia ritorna, infine, un messaggio tra i più belli e profondi della Bibbia. Lo scrittore biblico è cosciente che la traiettoria storica seguita dal suo popolo dopo la liberazione di Mosè è stata meno luminosa, fedele e bella di quella che sarebbe potuta essere. Il dolore di tutti poteva essere minore, i poveri meno umiliati, la fede più vera. Tutta la Bibbia è attraversata da questa linea d’ombra, che però, anche qui, ci suggerisce una verità antropologica e spirituale. Quando ci mettiamo a scrivere la nostra storia, e per farlo dobbiamo guardare e leggere gli eventi e le scelte di ieri, forte è l’esperienza di vedere un sentiero più alto e luminoso, quello che avremmo potuto seguire se nei bivi e negli appuntamenti decisivi (che sono sempre pochi) avessimo fatto altre scelte. Accanto alla nostra storia, ci appare una pista sul crinale e vediamo lo spettacolo dei suoi orizzonti più ampi, che potevamo percorrere se solo avessimo avuto un profeta vicino o se avessimo creduto alle sue parole. Vedere o intravvedere retrospettivamente queste strade più alte e luminose che noi non abbiamo percorso, può essere l’attimo più doloroso della vita, e spesso e per tanti lo è. Lo stesso sguardo sulle stesse traiettorie mancate può invece diventare molto diverso e buono se i nostri occhi sono accompagnati da quelli della Bibbia e dei suoi profeti. Con loro riusciamo ad accogliere con mitezza i bivi sbagliati e gli appuntamenti persi, a viverli come se li avessimo vissuti davvero, a prepararci all’ultimo tratto della corsa finalmente riconciliati con il nostro rammarico. Poi assistere, stupiti, al miracolo che quei crinali mancati e quegli orizzonti che non abbiamo mai visto sono improvvisamente diventati reali e veri come quelli più bassi e piccoli che la vita ci ha fatto vivere. E ringraziamo. Tutto è grazia.
l.bruni@lumsa.it