Opinioni

Le processioni del Corpus Domini. Luce da ritrovare oltre un opaco velo

Marina Corradi mercoledì 2 giugno 2010
«Sento ancora il profumo che emanava dai tappeti di fiori; appartengono a questi ricordi anche gli ornamenti in tutte le case, le bandiere, i canti. Sento ancora gli strumenti a fiato della banda locale, che in questo giorno osavano talvolta più di quanto potessero; e lo scoppio dei mortaretti con cui i ragazzi esprimevano la loro prorompente gioia di vivere».La processione del Corpus Domini nei ricordi infantili di Joseph Ratzinger, come la raccontò, ancora cardinale, in una sua meditazione. In questi giorni nelle nostre città queste processioni si rinnovano. E sono sorelle minori e un po’ timide delle feste di popolo che ricordano i vecchi. Chissà quanti italiani di vent’anni saprebbero dire che cosa celebra esattamente, il Corpus Domini. Quanti sanno che ricorda la presenza reale di Cristo nella Eucaristia; come decretò nel 1264 papa Urbano IV dopo il miracolo di Bolsena, quando un sacerdote che dubitava vide, attonito, che il pane consacrato sull’altare sanguinava.Forse queste memorie di eventi straordinari, lontani nel tempo, non dicono molto a tanti che oggi hanno vent’anni (e questo giovedì non l’hanno più potuto vivere come festa). Eppure, nelle processioni che si snodavano nelle città e nei paesi c’era un significato profondo; nell’avanzare lento del Santissimo sotto un baldacchino, tra i canti sacri, in mezzo alle case della gente, c’era un senso antico e poderoso. In quella sua meditazione il futuro Benedetto XVI spiegava come il Concilio di Trento avesse affermato che nel Corpus Domini si celebra «la vittoria di Cristo sulla morte». E aggiungeva Ratzinger: «L’Eucarestia è, nella sua essenza, la risposta al problema della morte, l’incontro con l’amore che è più forte della morte. Il Corpus Domini pone al centro la gioia per questa vittoria e accompagna il vincitore nel corteo trionfale lungo le strade». Ecco cos’era dunque, se pure inconsciamente, la gioia delle processioni dei nostri padri. I bambini esultanti dietro alla banda, come a una grande festa; perché gli era stato insegnato che quel giorno era una grande festa. Nel fondo della coscienza popolare, era il giorno della vittoria sulla morte. Sulla antica nemica. Simile a una marcia di vincitore l’incolonnarsi dei fedeli dietro al prete che tiene alta l’Ostia consacrata. (E non per caso, ma per una antica sapienza, attenta alla lingua dei segni, la celebrazione di questa vittoria cade nel primo montare dell’estate, nei primi giorni di sole trionfante sopra all’erba alta, splendente di papaveri, di giugno). Poi, scrisse il cardinale Ratzinger, sopraggiunse una «allarmata resistenza a tutto ciò che aveva sapore di trionfalismo, che non sembrava conciliabile con la coscienza cristiana del peccato, e con la tragica situazione del mondo. La celebrazione del Corpus Domini divenne imbarazzante». Nel velo opaco piombato sull’Occidente dopo l’ultima guerra, in quel buio da Sabato Santo che con l’Olocausto ha segnato il Novecento, l’esultanza della processione del Corpus Domini è sembrata a molti insensata. (Oggi, in quanti siamo intimamente certi, davvero, che il nostro Dio ha vinto la morte? Lo speriamo, ma non ci sentiamo in realtà persi e sconfitti ad ogni nuova esplosione del dolore e del male? Oppure, rassegnati, siamo diventati educati nichilisti. Nulla in cui credere, e nulla da aspettare). Ma la certezza del Corpus Domini è il contrario del nulla. Davanti alla Sindone, un mese fa, Benedetto XVI ha spiegato come la vittoria di Cristo sulla morte sia venuta proprio dal fondo del buio. Da quella notte di inferi – «per un tempo breve, ma immenso e infinito» – si alzò la luce. Il Corpus Domini è la festa di questa luce. Se, smemorati, o distratti, o collusi col nulla, dubitiamo, l’esultanza di quelle processioni ci è incomprensibile. Ci mancano forse i bambini, i figli che non abbiamo, a trascinarci, a insegnarci? Quelli che nei ricordi di Benedetto XVI seguivano la banda e lanciavano i mortaretti, «in una prorompente gioia di vivere».