Opinioni

Il caso. Lucarelli, la morte di Pedretti e le colpe di media, social e di ognuno di noi

Gigio Rancilio martedì 16 gennaio 2024

A sinistra Selvaggia Lucarelli. A desta, Giovanna Pedretti, la ristoratrice di Lodi morta suicida

Comunque la si giri, questa è una brutta storia. Piena di colpevoli che fingono di non avere colpe e di accusatori pronti a indicare la trave negli occhi degli altri dimenticando di averne una più grande nei propri. Il risultato è un tutti contro tutti dove non si salva nessuno. Né gli accusatori seriali da social né i grandi mezzi di informazione. Non si salva Selvaggia Lucarelli che ha deciso «di passare su Instagram, lasciando per un po' X» (l'ex Twitter) in polemica con chi la accusa di avere sospettato (con l'aiuto de suo compagno food blogger) che il post di Giovanna Pedretti, la proprietaria della pizzeria di Sant'Angelo Lodigiano, fosse falso, innescando uno tsunami di odio contro la donna che ha deciso di uccidersi. Nessuno sa bene quali siano stati i motivi del gesto di Giovanna, ma sua figlia non ha dubbi e punta il dito contro la blogger. La quale, a sua volta, punta il dito contro i quotidiani: «Ancora nessuno ha il coraggio di fare una riflessione sul ruolo della stampa in questa vicenda - scrive Lucarelli su X - e domandarsi perché una notizia irrilevante e pure falsa era in home ovunque. Si preferisce scaricare le colpe più genericamente sui social brutti e cattivi, social che alla fine sono il perfetto capro espiatorio del giornalismo». E ancora: «Se stabiliamo che i social sono cattivi per i commenti che innescano, mi chiedo: voi li avete mai letti i commenti sotto Repubblica o Corriere o qualsiasi sito? Ogni volta che qualche sito dedica un articolo a me, spesso stravolgendo parole per farmi sembrare Belzebù, sotto ci sono talmente tanti insulti che se fossi fragile sarei da tempo in una clinica psichiatrica. A essere ottimisti». Infine: «Se ogni volta che una persona finisce sulle cronache criticata per qualche motivo si suicidasse, i giornali dovrebbero chiudere. Però può succedere sempre, lo sappiamo, e succede più spesso di quanto le cronache raccontino».

In poche frasi Lucarelli sposta la colpa da sé e dai social alla stampa. Mentre i media hanno già deciso che la colpa è dei social e della Lucarelli (minacciata di morte sui social) e non certo loro. Il risultato è un enorme cortocircuito, anzi una serie di cortocircuiti che manda in tilt tutto l'ecosistema mediatico, visto che anche i social da tempo sono un media e molto potente. Lo ripetiamo: da questa storia dolorosa nessuno si salva né tantomeno può sottrarsi alle proprie responsabilità. In queste ore, uno scrittore di successo per bambini come Nicola Brunialti ha scritto su Facebook: «Ai miei piccoli lettori insegno che le parole sono come il dentifricio. Una volta spremuto, il dentifricio non può tornare nel tubetto. Così le parole, una volta uscite, non possono tornare nella bocca. Per questo bisogna stare attenti a quello che si dice. E valutarne le conseguenze. Sempre. I bambini lo capiscono. Gli adulti, un po' meno».

In fondo, è qui il nocciolo di questa storia: gli adulti, noi adulti, noi che scriviamo (sui social o sui giornali, poco importa), noi che vorremmo spiegare il mondo agli altri non riusciamo a imparare ciò che i bambini hanno capito: le parole una volta uscite (dalla bocca o da una tastiera) non possono più tornare indietro. E certe parole se anche non arrivano a uccidere direttamente possono comunque fare molto male. Perché tutti abbiamo i nostri punti fragili e quando ti senti criticato da cento persone, ti sembra che tutto il mondo punti il dito contro di te. Ti senti sommerso. Ti senti affogare. Ti senti solo e abbandonato. Qualcuno ci ha fatto il callo e magari ci sguazza pure, la maggior parte di noi ne esce ferita. Alcuni, i più fragili, a volte finiscono annegati in questo mare d'odio. E ai parenti non resta che vedere le storie dei propri cari usate per colpire gli altri, per dare la colpa agli altri. Quando la colpa è di (quasi) tutti.