Opinioni

L'ora di inviare segnali giusti. Manovra e famiglia: serve una visione

Massimo Calvi martedì 15 ottobre 2019

Bisogna essere onesti. A un Governo che si è da poco costituito e che come principale obiettivo economico si è posto quello di evitare l’aumento dell’Iva e mettere in sicurezza i conti, non si può chiedere che nel giro di poche settimane avvii quella rivoluzione per sostenere e rilanciare la natalità che l’Italia avrebbe dovuto mettere in campo almeno 30 anni fa. Però a questo stesso Governo può essere chiesto di dimostrare con i fatti, già nella Manovra per il 2020 in via di articolazione, che considera il tema del declino demografico una priorità, e non un argomento da varie ed eventuali nell’agenda del Paese.

Così come dall’opposizione a questo Governo, almeno su tale fronte, ci si dovrebbe aspettare un atteggiamento di convergenza e di collaborazione, se davvero si è tutti d’accordo ormai sul fatto che le "culle vuote" non rappresentano solo l’immagine di desideri non realizzati o di difficoltà nel darsi e nel costruire un futuro come nuclei familiari, ma una grande emergenza nazionale. Proprio quello che la politica non sembra aver compreso in pieno. Nell’ultimo quarto di secolo sia il centrodestra sia il centrosinistra sia i protagonisti dell’attuale tripolarismo imperfetto hanno dimostrato che il sostegno alle famiglie con figli è argomento "caldo" da campagna elettorale, mentre una volta al potere diventa secondario rispetto a misure che si pensa possano garantire un dividendo elettorale immediato.

Stavolta, per di più, tutti i partiti e i movimenti hanno fatto capire di essere pronti ad appoggiare una misura efficace e semplice come è quella di un assegno unico universale per i figli a carico, sul modello di altri grandi Paesi europei. Tant’è che sul tavolo ci sono diverse ipotesi suggerite dal Forum delle famiglie, da 150 a 250 euro al mese per ogni figlio, mentre in Parlamento si sta esaminando il disegno di legge delega (primi firmatari Delrio e Lepri, del Pd) che prevede un assegno massimo di 240 euro legato al reddito.

Il punto è che l’intera classe dirigente, politica e non solo, anziché giocare al braccio di ferro sulle misure da inserire in Manovra, rischiando di lasciare le briciole alle famiglie dei lavoratori con figli, dovrebbe essere capace di farsi portatrice di un messaggio univoco. Una specie di operazione-verità per dire agli italiani che di soldi ce ne sono pochi, che la situazione non è facile, ma che piuttosto che procedere con micro-interventi finalizzati a dare pochi euro in più oggi a qualche categoria ben rappresentata (con la garanzia che salirà il debito domani), si è deciso di mettersi al lavoro per disinnescare la bomba sulla quale siamo tutti seduti e che si chiama "declino demografico", considerato che il calo delle nascite che dura da decenni condannerà presto il sistema di protezione sociale a implodere per mancanza di popolazione al lavoro.

L’impatto di una presa di coscienza collettiva, e l’assunzione di un obiettivo comune, è tutt’altro che irrilevante. Perché l’esperienza insegna che le sole misure economiche o normative non bastano a rilanciare e sostenere la natalità. In questa fase storica i tassi di fecondità stanno precipitando in tutto il mondo per varie ragioni. In Europa stanno cadendo ovunque di nuovo, e questo succede persino nei Paesi nordici, che sono stati per anni un modello per il welfare a sostegno delle culle piene: in Svezia, in Norvegia, in Danimarca, e pure nella Finlandia in testa alle classifiche mondiali della felicità. La ragione principale è che di fronte alle trasformazioni culturali e sociali sta dilagando un senso di insicurezza che snerva anche misure date ormai per scontate e che comunque sono figlie di una visione individualistica della società e del nucleo familiare.

Lunico grande Paese europeo che negli ultimi anni ha saputo invertire un po’ il declino è la Germania, dove come base di partenza si eroga a tutti un assegno di 200 euro al mese a figlio, e che ha investito molto su interventi per favorire la conciliazione e la cura, in un contesto che cerca di combattere la disgregazione dei legami familiari. La rivoluzione necessaria per rimettere la famiglia e i figli al centro del progetto della comunità, a ogni livello, ha bisogno prima di tutto un salto di qualità culturale.

Questo, oggi, l’intera classe politica dovrebbe essere capace di mettere in campo. Sul piano pratico, significa che gli asili nido devono essere gratuiti per le fasce deboli e a tariffe abbordabili anche per le altre, ma soprattutto tali strutture devono essere disponibili ovunque. I giorni di congedo devono aumentare anche più del previsto per entrambi i genitori, e chi ne beneficia poi non può essere penalizzato sul posto di lavoro. Un assegno per i figli va congegnato di importo significativo e per tutti, e soprattutto deve uscire dalla visione che fa dei sostegni alle famiglie solo misure di contrasto alla povertà.

È necessario anche aver chiaro che gli slogan sulla parità di genere o gli appelli ai valori non hanno gioco facile in un contesto che non produce anche innovazione, qualità delle relazioni e ben-vivere. Nessuno, insomma, può pensare che la risposta alla sfida possa venire interamente da una Manovra destinata a essere messa a punto in poche settimane da una maggioranza ancora neonata e in rodaggio come quella giallo-rossa. Ma è possibile inviare subito i giusti segnali al Paese e farlo con un’assunzione di responsabilità traversale.

Le risorse a disposizione, in realtà, non mancano. Dipende se si vuole continuare a impiegarle per misure di corto respiro che trasmettono e promuovono una visione individua-lista della società, oppure se si può già incominciare a mettere la famiglia e i figli al centro di una visione comune che guardi al futuro.