Le soluzioni provvisorie, per definizione, non possono durare e le tregue, se non sono il velo ipocrita dietro al quale gli sconfitti accettano di arrendersi ai vincitori, sono fatte per essere infrante. E in Ucraina, nonostante tutto, la partita non è ancora chiusa e il governo di Kiev, legittimamente, non intendere lasciare che il suo territorio venga smembrato provincia dopo provincia. I gravissimi e deprecabili fatti di mercoledì arrivano tutt’altro che inattesi, dopo una lunga sistematica serie di violazioni degli accordi stipulati dalle parti a Minsk: nelle ultime settimane, poi – mentre il mondo era distratto dalle tragedie del Mediterraneo, dalla ripresa dell’offensiva dell’Is tra Siria e Iraq e dall’ennesima ondata di bombardamenti indiscriminati dell’aviazione saudita sui ribelli houthi yemeniti – abbiamo assistito a un progressivo intensificarsi degli scontri tra i separatisti filorussi e le forze regolari ucraine. Oggi pomeriggio alle 15.30 ora italiana il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà in sessione straordinaria per discutere della nuova fase di una crisi che non ha fatto altro che peggiorare da quando la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina per sottrarle con la forza la Crimea. Non servirà a nulla, ovviamente, considerando che Mosca occupa un seggio permanente con diritto di veto; ma se non altro fornirà la misura della pericolosità della situazione. E consentirà anche per provare a capire quanto Putin è isolato (sempre che lo sia) nella comunità internazionale. Tutti sanno che dietro questa nuova escalation c’è l’uomo forte del Cremlino, che i muscoli li ha mostrati nella recente megasfilata sulla Piazza Rossa con cui ha voluto celebrare i fasti di ieri (la vittoria sulla Germania nella Seconda guerra mondiale) e mandare un ulteriore segnale esplicito sul fatto che la Russia di oggi non si considera moralmente obbligata a rispettare gli accomodamenti successivi al crollo sovietico post-’89 e possiede uno strumento militare che le consente di imporre la sua volontà quantomeno agli ex satelliti e alle ex province. Il pericolo della crisi 'in Ucraina' sta tutto qui: nel fatto che occorre far capire al Cremlino che l’Occidente (gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Nato e i Paesi che ne fanno parte) non ha nessuna intenzione di accettare la politica del fatto compiuto prediletta da Vladimir Putin e che, per conseguenza, la Russia non ha alcuna possibilità di prevalere. Allo stesso tempo, evidentemente, nelle capitali occidentali deve crescere la consapevolezza che ogni reazione dovrà essere ben calibrata e non servire a pretesto per far salire ulteriormente una tensione già pericolosamente elevata. Il presidente ucraino ha lanciato il suo grido di allarme sul pericolo 'di un’invasione su larga scala del Paese' da parte russa e contemporaneamente ha predisposto gli strumenti legislativi per autorizzare lo stazionamento di truppe straniere (ma non russe) sul territorio ucraino. Si tratta di una mossa che in sé ci dice solo della determinazione ucraina a non arrendersi senza combattere, ma di fatto è anche un passo che offrirà argomenti al Cremlino. In momenti come questi occorre sangue freddo, certamente, ma anche fermezza. E il fatto che persino la mite Finlandia abbia in questi mesi richiamato i suoi riservisti per un ciclo di imponenti esercitazioni difensive la dice lunga su come chi conosce fin troppo bene le pretese del grande vicino giudica le mosse russe di questi mesi. Calma unita a fermezza è esattamente quanto all’Occidente spetta di mostrare, se non vorrà ritrovarsi a dover fronteggiare tra qualche mese una nuova più drammatica crisi sul Baltico.