Le feste natalizie appena trascorse danno alla prolusione con la quale il cardinal Angelo Bagnasco ha aperto i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana un forte carattere spirituale e pastorale. Non si pensi però che la memoria del Natale abbia indotto il presidente della Cei, e i vescovi riuniti con lui, ad allontanarsi dalla sofferta realtà di queste ultime settimane (contrassegnate dal terremoto haitiano, dalle dolorose vicende di Rosarno, dalle sciagure – e non solo ecologiche – che hanno colpito la Liguria, la Toscana, la Sicilia): il Natale – si rimarca con energia fin dall’inizio di questa prolusione – è un’occasione fondamentale per il cristiano per non estraniarsi dal mondo, per tenere sempre nella sua mente e nel suo spirito quello che è il cuore della sua fede, il fatto che, in Gesù Cristo, Dio ha definitivamente rivelato la sua volontà di stare con l’uomo, di condividere la sua storia. Queste parole di Papa Benedetto, che il cardinal Bagnasco fa sue, servono a ribadire come la nostra sia una fede di incarnazione; una fede che esige un continuo confronto con il mondo. Chi la professa non può cedere alla tentazione dell’indifferenza verso le cose, né è legittimato ad assumere verso i non credenti un atteggiamento di freddezza. Nessuno deve sentirsi ignorato dalla Chiesa e di nessuno possiamo dire che non ci interessa.L’esortazione a inventare modalità nuove di attenzione verso coloro che non credono – cosa non facile, ma indispensabile – viene riassunta dal cardinale col riferimento a uno dei compiti centrali del nostro tempo, quello della «riconciliazione»: un tema che precede ogni tema politico e ne costituisce nello stesso tempo il fondamento. Riconciliarsi non significa solo fare il primo passo verso l’altro, ma (e anche qui sono preziosi i diretti riferimenti alle parole del Papa) «assumersi la sofferenza che comporta la rinuncia al proprio aver ragione». Le ricadute di questo principio ci aiutano a mettere a fuoco l’unico modo corretto, per un cristiano, di pensare alla politica. Questa, che continua ad essere intesa da parte di un mal inteso realismo come l’ordine del potere, della forza, della persuasione delle masse, è piuttosto l’ordine della solidarietà, della sussidiarietà, della reciprocità. I successivi riferimenti che il cardinale fa ad alcune delle questioni più urgenti o più scottanti della società internazionale e italiana (la questione ecologica e ambientale, quella bioetica, quella educativa, quella economico-sociale) acquistano una loro corretta configurazione solo in questo quadro di riferimento.Non si può elogiare la Chiesa, quando essa si batte per la salvaguardia dell’ambiente, quando chiede al mondo economico di farsi carico seriamente dei bisogni dei soggetti socialmente più deboli, angosciati dalla perdita del posto di lavoro o quando essa richiama l’attenzione di tutti sull’emergenza educativa che caratterizza il nostro tempo e non comprendere le sue ragioni quando stigmatizza la banalizzazione dell’aborto (l’unico autentico esito della pillola Ru486) o la frettolosa e ingiustificata «iniziativa dei registri», che in alcuni Comuni e in alcune Regioni è indice di indebite fughe in avanti, sulle delicatissime questioni del fine vita. di timbro palesemente pro-eutanasico. Ancora una volta – e può forse essere la sintesi di questa prolusione – al centro dell’attenzione della Chiesa italiana c’è anche la sfera politica. Non però la politica pensata come equilibrio di forze, o peggio ancora come potere, secondo il tipico paradigma proprio dei laicisti, al di là del quale i laicisti non riescono a spingere lo sguardo. Il cardinal Bagnasco ci ha parlato di un’altra politica, ben più autentica e umana; la politica che, per citare una sua efficace espressione, è l’«opera civile più grande» che si possa porre in essere al servizio degli altri. Un’opera che merita anche il «sogno» di una nuova generazione di cattolici capaci di presenza e d’impegno.