Opinioni

La relazione con Dio e Ai. L’omelia con «chatgpt». Sfida la qualità della fede

Francesco Ognibene sabato 22 aprile 2023

Può scrivere riassunti, tesi, articoli, racconti, romanzi, saggi, interviste, in modo pressoché indistinguibile da una mente umana. Perché mai non potrebbe offrire testi o appunti per omelie? ChatGpt si candida a sostituirci in una serie di mansioni esecutive sulla produzione e il trattamento di contenuti anche molto complessi.

Ed essendo il suo motore assolutamente automatico non fa alcuna distinzione tra temi distantissimi, la paleontologia e il calcio, la cucina e l’esistenzialismo. In fondo sono solo bit. E la religione non può certo essere esclusa dal trattamento di questo dirompente sistema di intelligenza artificiale in grado di produrre in pochi istanti testi su qualsiasi tema a partire dall’immensa mole di materiali disponibile sul web. Gli chiedi di produrre un sermone sulle Beatitudini, il padre misericordioso, o il buon samaritano? Nessun problema. Per l’algoritmo il Vangelo vale quanto il gioco delle bocce: dati che entrano, dati che escono. La potenza della “macchina” – in Italia ora ferma ai box per alcuni meditati e fondati rilievi del Garante della Privacy – tratta i contenuti badando all’efficienza.

E visto che può disporre di una biblioteca virtuale potenzialmente sconfinata non c’è dubbio sulla consistenza argomentativa delle prediche che possono uscire dalla sua fucina digitale: a fare la differenza saranno la precisione e l’esigenza di chi interroga Gpt per avere un certo tipo di testo. A interrogarsi sulla questione, in un’intervista a Famiglia Cristiana, è l’arcivescovo di Milano Mario Delpini, che al giornalista (umano) che gli chiede se «verrà il giorno in cui si faranno le omelie con ChatGpt» replica un po’ a sorpresa che «le facciamo già», nel senso che «in fondo si tratta di mettere a disposizione un’immensa quantità di dati (per esempio tutte le omelie di un bravo predicatore, o i commenti biblici) per la redazione di un testo, e dunque anche l’omelia rientra in questa possibilità».

Il predicatore si prepara attingendo spunti o citazioni da libri, articoli, documenti, oppure se vuole fare alla svelta interroga Google. E in fondo Gpt si annuncia “solo” molto più efficace nel reperire quel che serve. Con una differenza, vistosa: se un motore di ricerca (o l’indice tematico di un volume, per capirci) restituisce un’informazione specifica, il nuovo algoritmo che impara a forza di interpellarlo è in grado di offrire un testo complesso, anche ispirato, se lo si “allena” bene. Così dalla citazione corretta dell’Evangelii nuntiandi di Paolo VI si passa nel tempo di un clic a una riflessione articolata sulla differenza tra maestri e testimoni. Un punto nodale sul quale ci attende monsignor Delpini: perché «l’omelia – spiega nell’intervista – non è un testo ma una testimonianza, frutto di un rapporto e di un’interpretazione personale della Parola di Dio».

Per questo l’intelligenza artificiale è «una sfida per l’umanesimo»: farsene aiutare per costruire una riflessione più documentata o sapiente sul Vangelo non esime dal compromettersi dentro ciò che quella pagina smuove nella propria vita, coinvolgendo chi ascolta in un percorso di comprensione della fede che è anzitutto personale. Abitualmente nei viaggi chiediamo lumi al Gps stradale, affidandoci alla sua guida inespressiva ma efficace tanto da sentirci smarriti se “non c’è campo”. Ora il Gpt omiletico offre una scorciatoia per ottenere informazioni e idee, ma si deve arrestare davanti alla porta d’accesso del rapporto personalissimo (e comunitario) con la Parola, semmai chiamando in causa proprio la qualità della fede di chi prepara l’omelia, e forse della sua stessa relazione con il popolo di Dio.

Può accontentarsi dell’aiutino digitale quando il suo orizzonte è l’ordinaria amministrazione delle anime, ma se appena osa alzare la vela verso il mare aperto allora deve interrogare quell’algoritmo misteriosissimo che muove il proprio cuore, pronto a riceverne come risposta tutt’altro rispetto alle attese, o una serie di ulteriori domande. Dalla smisurata biblioteca di Gpt escono spremute di testi che come accuratezza formale competono con la nostra imperfezione, persino surclassandola, ma con il limite di ripetere inevitabilmente il già conosciuto, perché la materia prima è ciò che è stato pensato, scritto, elaborato, riflettuto, pronunciato da altri. Restiamo così condannati all’eterna ripetizione di cose note (niente di diverso da tanta predicazione, si dirà, ma questo è un altro discorso).

Una conferma, se ancora ce n’è bisogno, che nessuno strumento tecnologico è davvero neutro, come ci dicono. Ma volendo tenere le redini di questa tecnologia serve il coraggio di affrontare una sfida tutta umana. Se infatti c’è chi inizia a vedere nelle pieghe inafferrabili del nuovo prodigio informatico il primo barlume di una creatività autonoma, che esporrebbe persino all’eventualità di veder “creare” esegesi e magistero elettronici in parte inediti, la Parola di Dio incarnata nella vita ci porta dove non pensiamo o vogliamo, al di fuori del raggio di azione di qualunque codice binario, nel campo sempre inesplorato della libertà. Svetta infine davanti al nostro magnifico manufatto un’inestinguibile domanda: cosa mi dice, oggi, il Signore?