Locomotiva Angela. Il treno europeo e il ruolo di Berlino
Pressati dalla pandemia globale e dalla crisi sociale ed economica che ne è discesa, molte letture dell’attuale momento vissuto dall’Unione Europea si sono fermate alle condizioni strutturali che sembrano imporre oggi più che mai risolutezza e coraggio nelle decisioni. La svolta che si è concretizzata nel concitato vertice di metà luglio ha condotto a creare il Recovery Fund strumento principale del piano chiamato Next Generation EU, salutato quale strumento innovativo e forse foriero di una nuova integrazione economica europea. Il meccanismo del fondo, che prevede sia una redistribuzione massiccia di risorse sia il ricorso ai primi bond europei, garantiti in solido dai Paesi dell’Unione per ottenere tassi ridotti sul mercato, è stato interpretato come una scelta obbligata in un tornante delle vicende europee che non permetteva di proseguire con i compromessi al ribasso, pena il rischio di una drammatica implosione.
Ma nulla era scritto alla vigilia e le resistenze, è ben noto, sono state fierissime. E qui si può rileggere ciò che oggi sta emergendo con maggiore chiarezza. Stiamo parlando del ruolo di Angela Merkel, che il primo luglio ha assunto per la seconda volta, e quasi certamente ultima, la presidenza di turno dell’Unione.
La cancelliera guida la prima nazione della Ue per popolazione, forza economica e politica, non può disporre liberamente di scelte chiave (tra l’altro a Berlino dirige un governo di coalizione), ma non è forse così azzardato pensare che stia cercando di scrivere una pagina nuova dell’Unione che la può fare entrare nella storia continentale non come la prudente leader di un Paese ingombrante e interessato soprattutto a tutelare i propri interessi, bensì come la levatrice di un’Europa più integrata, più accogliente, più verde e capace di stare alla pari delle superpotenze mondiali. Il suo mantra è 'ogni giorno conta, non posso sprecarne nemmeno uno'. Non è necessariamente un colpo di testa di una statista che si vede alla conclusione di un percorso lunghissimo e di estremo successo, destinato negli annunci a chiudersi il prossimo autunno dopo 16 anni ininterrotti di guida della Germania.
Appare piuttosto il culmine di un cammino prudente che non può prescindere dalle posizioni e dagli interessi che rappresenta e con cui deve costantemente confrontarsi. Semplificando un po’ processi che nulla hanno di semplice e lineare, l’anno scorso Merkel ha portato alla presidenza della Commissione europea la sua delfina Ursula von der Leyen, la quale ha impresso un nuovo dinamismo all’azione dell’organismo che, con il Parlamento, maggiormente dovrebbe incarnare una visione europea rispetto al concertoconflitto di posizioni nazionali espresse nel Consiglio composto dai capi di Stato e Governo dei 27.
E meno di tre mesi fa ha provato ad avviare in prima persona quel processo riformatore da decenni invocato per l’Unione. Non è improvvisamente diventata una paladina degli Stati Uniti d’Europa, la cancelliera, ma sa che oggi può, con cautela, portare la Germania a essere traino – con la Francia di Macron e, sperabilmente anche con l’Italia, membro fondatore e parte indispensabile del progetto continentale malgrado alcune sbandate sovraniste e non infrequenti diffidenze anti- tedesche – di una trasformazione nelle politiche e forse nell’architettura della Ue. Varato il Recovery Fund (su cui Berlino ha mediato con il proprio peso specifico, superando una propria storica avversione ad allentare i bilanci e a mutualizzare il debito), l’altro grande test si avvierà proprio in questi giorni. Il tema delle migrazioni è tra i più divisivi: ha giocato un ruolo decisivo nella vittoria della Brexit, caratterizza il gruppo 'isolazionista' di Visegrad e alimenta gran parte dei movimenti che vedono in Bruxelles un ostacolo alla prosperità nazionale quando non un vero nemico da combattere.
La proposta di superare il regolamento di Dublino che grava sui Paesi rivieraschi, Italia in primis, e garantire quote di ricollocamento tra Paesi di coloro che arrivano in territorio europeo, unita all’introduzione di corridoi umanitari e alla migliore gestione dei soccorsi in mare, può costituire un cambio di scenario di grandissima portata. Non sarà un obiettivo raggiungibile in toto nel giro di poco tempo, ma portare al tavolo un piano credibile e una volontà precisa è già un passo cui molti non credevano più. Merkel guarda all’interno senza distogliere la vista dallo scenario globale.
È l’unica che alza la voce con Donald Trump (ricambiata con un’antipatia che è riconoscimento di forza) e non esita ad accogliere a Berlino Alekesij Navalny, l’oppositore di Vladimir Putin misteriosamente avvelenato; fa affari con la Cina consapevole che non bisogna però cedere sovranità al progetto espansionista ed imperiale di Pechino. Vorrebbe perciò un’Europa che sappia fare quadrato e parlare con una voce sola, unico modo per ottenere rispetto e un ruolo adeguato sullo scacchiere mondiale, in cui i vasi di argilla verranno inevitabilmente schiacciati da quelli di ferro. A questo scopo aiuterebbe un assetto istituzionale dell’Unione che fosse meno intergovernativo, frutto di negoziazione tra spinte nazionali divergenti, e più federale, con prioritaria la prospettiva europea.
Qui il cammino si fa più accidentato; anche in patria la cancelliera trova remore non piccole, come ha indicato la sentenza della Corte costituzionale tedesca contro la partecipazione massiccia della Bundesbank all’acquisto di titoli delle economie deboli, le cui motivazioni giuridiche affondano le radici in un sentire per nulla europeista, anzi, quasi nazionalista. Forse serve più tempo. Ma, ahinoi, questo nuovo corso merkeliano rischia di avere vita breve, dato che la cancelliera ha in più occasioni ribadito di volere abbandonare la scena pubblica allo scadere del mandato, a fine settembre 2021. I potenziali successori nella sua Cdu sono figure rispettabili, certamente prive dell’esperienza e del carisma della cancelliera, soprattutto forse non inclini a seguirla con tanto zelo in territorio europeo.
Tutti elementi che consiglierebbero, parafrasando il genio tedesco Goethe, di 'cogliere l’attimo' che stiamo vivendo e, prima che svanisca, di contribuire senza esitazioni al rinnovamento e al rafforzamento del progetto europeo. Se il treno sarà in corsa, nemmeno una più cauta leadership a Berlino riuscirà a fermare la locomotiva messa meritoriamente in moto da Angela Merkel.