Opinioni

Il Papa, Mattarella, l’escalation bellica. Ma lo tsunami si può fermare

Fulvio Scaglione mercoledì 5 ottobre 2022

Nel volgere di poche ore, e da voci di altissimo livello spirituale e politico, è stata riproposta la parola 'pace', da troppo tempo, e in modo assurdo e autolesionista, ridotta quasi a sinonimo di resa, sconfitta, tradimento. Domenica scorsa, all’Angelus, papa Francesco si è rivolto «al presidente della Federazione russa» con la supplica «di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte», mentre nel dolore «per l’immane sofferenza della popolazione ucraina a seguito dell’aggressione subita» ha diretto «un altrettanto fiducioso appello al presidente dell’Ucraina a essere aperto a serie proposte di pace». E martedì, il presidente Sergio Mattarella, ricordando ad Assisi quel grande promotore di fraternità e dialogo che fu san Francesco, con santa Caterina patrono d’Italia, ha parlato della «pace tradita proprio nel cuore dell’Europa», invitando a difenderla, assieme alla democrazia, con mezzi «coerenti», senza arrendersi alla logica della guerra «che consuma la ragione e la vita delle persone… e spinge a intollerabili crescendo di morti e devastazioni, che sta rendendo il mondo più povero e rischia di avviarlo verso la distruzione».

È superfluo ricordarlo ma proprio il Papa e il nostro Presidente hanno dimostrato che parlare di pace non significa disconoscere la realtà o, peggio, mettere sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore. Francesco ha parlato, appunto, di «aggressione subita» e ha deplorato vivamente «le azioni contrarie ai princìpi di diritto internazionale», cioè i referendum organizzati da Mosca per l’annessione dei territori ucraini, che aumentano il rischio di un’escalation nucleare. E Mattarella ha citato la «prepotenza che ha scatenato la guerra».

La pace, per essere tale, deve anche essere giusta, nessuno ignora questo principio. Troppe paci ingiuste, in passato, hanno aperto la strada a guerre ancor più devastanti e crudeli. Ma allora perché parlare di pace è diventato così difficile?
L’alternativa, lo dicono tutti, non solo papa Francesco e il presidente Mattarella, è il rischio della catastrofe economica mondiale, della carestia in vaste parti del mondo, persino dello scontro atomico in Europa. Tanto più che la lunga guerra in Ucraina, dopo l’invasione russa del 24 febbraio, non ha fatto che degenerare. I bombardamenti sugli obiettivi civili, che nelle prime settimane venivano attribuiti soprattutto ai russi ma erano sporadici ed erano commentati con enorme sdegno, sono ormai all’ordine del giorno da entrambe le parti. I morti in divisa, pur mancando un credibile bilancio super partes, si contano ormai in centinaia di migliaia mentre quelli civili non si contano nemmeno più. Le distruzioni sono immense, e non meno catastrofiche le piaghe inflitte al tessuto economico e sociale dei due Paesi belligeranti.

Eppure, a Mosca si parla sempre più spesso di impiego delle bombe atomiche tattiche, che richiamerebbero una risposta occidentale non meno devastante. E a Kiev il presidente Zelensky ha addirittura firmato un decreto per rendere per sempre «impossibile» qualunque forma di negoziato con la Russia. È comprensibile che i Paesi in guerra perdano la testa, sconvolti dal sangue versato e presi dalla follia della conquista o dalla sete di rivincita. Ma gli altri? L’Europa, gli Stati Uniti? Davvero crediamo che basti ripetersi che la colpa di tutto è di Vladimir Putin e che tutto finirà quando lui lascerà il potere e la Russia sarà sconfitta? E se non accadesse? E se accadesse solo dopo molti anni di una guerra come quella cresciuta terribilmente d’intensità negli ultimi otto mesi, con tensioni sociali altissime in un’Europa impoverita e parti di mondo in subbuglio per la scarsità di cibo a prezzi sopportabili?

O dopo un conflitto nucleare che cancellasse dalla faccia della terra diverse città europee con i loro abitanti? C’è qualcuno, che sia politico o esperto o giornalista, disposto a garantire che questo non avverrà? E soprattutto: c’è qualcuno che alla fine potrebbe chiamarla 'vittoria' o addirittura 'pace'? C’è ancora chi fa un paragone con il nazismo e la Seconda guerra mondiale. Ma allora la Germania non era sola, mentre la Russia lo è. E soprattutto, Europa e Usa scelsero di combattere, non di lasciar combattere gli altri. E finì, appunto, con la bomba atomica. Al netto di tutte le retoriche e delle propagande, produrre un serio piano di pace, e lavorare per spingere i contendenti a farne parte, dovrebbe essere oggi l’impegno prioritario di tutti i Paesi. Stupisce che nessun leader europeo, con la parziale eccezione del francese Macron, sia disposto a percorrere questa strada. A quanto pare, nessuno si rende conto che lo smembramento dell’Ucraina sarebbe una tragedia e che il collasso della Russia sarebbe uno tsunami. Se vuoi la pace, prepara la pace.