Anticipazione. Lo spirito autentico dei Sinodi è nel sapersi mettere in gioco
L’articolo di questa pagina, scritto dal direttore di 'La Civiltà Cattolica', padre Antonio Spadaro, è un’anticipazione tratta dal numero 4113 (6/20 Novembre 2021) del quindicinale della Compagnia di Gesù.
L’avvio del Sinodo sulla sinodalità, avvenuto il 9 ottobre scorso, c’invita a porre la domanda su che cosa significa oggi essere Chiesa e quale sia il suo senso nella storia. E tale domanda è pure alla base del Cammino sinodale che la Chiesa italiana sta avviando, e di quello in corso o in fase di avvio in Germania, Australia e Irlanda. Chi ha seguito le Assemblee del Sinodo dei vescovi degli ultimi anni si è certamente reso conto di quanto sia emersa la diversità che plasma la vita della Chiesa cattolica. Se un tempo una certa latinitas o romanitas costituiva e modellava la formazione dei vescovi – i quali, tra l’altro, capivano almeno un po’ di italiano –, oggi emerge con forza la diversità a ogni livello: mentalità, lingua, approccio alle questioni. E ciò, lungi dall’essere un problema, è una risorsa, perché la comunione ecclesiale si realizza attraverso la vita reale dei popoli e delle culture. In un mondo fratturato come il nostro, è una profezia.
Non si deve immaginare la Chiesa come una costruzione di mattoncini Lego diversi che si incastrano tutti al punto giusto. Sarebbe questa un’immagine meccanica della comunione. Potremmo meglio pensarla come una relazione sinfonica, di note diverse che insieme danno vita a una composizione. Se dovessimo proseguire usando questa immagine, direi che non si tratta di una sinfonia dove le parti sono già scritte e assegnate, ma di un concerto jazz, dove si suona seguendo l’ispirazione condivisa nel momento. Chi ha fatto l’esperienza dei recenti Sinodi dei vescovi avrà percepito le tensioni che emergevano all’interno dell’Assemblea, ma anche il clima spirituale nel quale erano – per lo più – immerse. Il Pontefice ha sempre molto insistito sul fatto che il Sinodo non è un’assemblea parlamentare dove si discute e si vota per maggioranza e minoranza. Il protagonista, in realtà, è lo Spirito Santo, che «muove e attira», come scrive sant’Ignazio nei suoi Esercizi spirituali. Il Sinodo è un’esperienza di discernimento spirituale alla ricerca della volontà di Dio sulla Chiesa.
Che questa visione del Sinodo sia anche una visione della Chiesa, non è da mettere in discussione. C’è una ecclesiologia – maturata negli anni grazie al Concilio Vaticano II – che oggi si dispiega. Per questo c’è bisogno di grande ascolto. Ascolto di Dio, nella preghiera, nella liturgia, nell’esercizio spirituale; ascolto delle comunità ecclesiali nel confronto e nel dibattito sulle esperienze (perché è sulle esperienze che si può far discernimento e non sulle idee); ascolto del mondo, perché Dio vi è sempre presente, ispirando, muovendo, agitando: abbiamo l’opportunità di diventare «una Chiesa che non si separa dalla vita», ha detto Francesco salutando i partecipanti intervenuti all’inizio del percorso sinodale (9 ottobre). Il Pontefice ha quindi sintetizzato così: «Siete venuti da tante strade e Chiese, ciascuno portando nel cuore domande e speranze, e sono certo che lo Spirito ci guiderà e ci darà la grazia di andare avanti insieme, di ascoltarci reciprocamente e di avviare un discernimento nel nostro tempo, diventando solidali con le fatiche e i desideri dell’umanità». Mettere la Chiesa in stato sinodale significa renderla inquieta, scomoda, tesa perché agitata dal soffio divino, che certo non ama safe zones, aree protette: soffia dove vuole.
Il modo peggiore per fare sinodo allora sarebbe quello di prendere il modello delle conferenze, dei congressi, delle “settimane” di riflessione, e immaginare che così tutto possa procedere in modo ordinato, anche cosmeticamente. Altra tentazione è l’eccessiva premura per la «macchina sinodale», perché tutto funzioni come previsto. Se non c’è il senso della vertigine, se non si sperimenta il terremoto, se non c’è il dubbio metodico – non quello scettico –, la percezione della sorpresa scomoda, allora forse non c’è sinodo. Se lo Spirito Santo è in azione – una volta ha affermato Francesco –, allora «dà un calcio al tavolo». L’immagine è riuscita, perché è un implicito riferimento a Mt 21,12, quando Gesù «rovesciò i tavoli» dei mercanti del tempio.
Per fare sinodo occorre cacciare i mercanti e rovesciare i loro tavoli. Non sentiamo oggi il bisogno di un calcio dello Spirito, se non altro per svegliarci dal torpore? Ma chi sono oggi i «mercanti del tempio»? Solo una riflessione intrisa di preghiera potrà aiutarci a identificarli. Perché non sono i peccatori, non sono i «lontani», i non credenti, e neanche chi si professa anticlericale. Anzi, a volte essi ci aiutano a capire meglio il tesoro prezioso che conteniamo nei nostri poveri vasi di argilla. I mercanti sono sempre prossimi al tempio, perché lì fanno affari, lì vendono bene: formazione, organizzazione, strutture, certezze pastorali. I mercanti ispirano l’immobilismo delle soluzioni vecchie per problemi nuovi, cioè l’usato sicuro che è sempre un «rattoppo », come lo definisce il Pontefice. I mercanti si vantano di essere «al servizio » del religioso. Spesso offrono scuole di pensiero o ricette pronte all’uso e geolocalizzano la presenza di Dio che è «qui» e non «lì».
Fare sinodo allora implica essere umili, azzerare i pensieri, passare dall’«io» al «noi», aprirsi. Colpisce in questo senso, ad esempio, quanto ha detto il Relatore generale del Sinodo, cardinale Jean-Claude Hollerich, nel suo saluto il 9 ottobre durante l’inaugurazione: «Devo confessare che non ho ancora idea del tipo di strumento di lavoro che scriverò. Le pagine sono vuote, sta a voi riempirle». Occorre vivere il tempo sinodale con pazienza e attesa, aprendo bene occhi e orecchie. « Effatà cioè: “Apriti!”» (Mc 7,34) è la parola chiave del Sinodo. Roland Barthes – da esimio linguista e semiologo – aveva capito che gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola servono a creare un linguaggio di interlocuzione con Dio fatto di ascolto e parola. Occorre comprendere che il Sinodo, a suo modo, condivide questa natura linguistica, di creatore di linguaggio. Ed è per questo che è importante il metodo, cioè il modo e le regole del cammino, soprattutto in funzione del pieno coinvolgimento. I n definitiva, la dinamica che si sviluppa nel Sinodo può essere descritta come un «giocarsi» , un «mettersi in gioco». E, ad esempio, giocare a calcio non significa soltanto tirare una palla, ma anche correrle dietro, «essere giocati» dalle situazioni che si verificano in campo. Infatti, «il gioco raggiunge il proprio scopo solo se il giocatore si immerge totalmente in esso», come scrive Gadamer nel suo celebre saggio “ Verità e metodo”. Il soggetto del gioco, dunque, non è il giocatore, ma il gioco stesso, che prende vita attraverso i giocatori. E questo è, in fondo, lo spirito del Sinodo: mettersi finalmente davvero in gioco seguendo la dinamica animata dallo Spirito.
Direttore “La Civiltà Cattolica”