Solo a sussurrarle con pudore, alcune parole evocano immani tragedie che la storia, anche recente, ha consegnato ad alcune delle sue pagine più nefaste. Se è giusto non volgere continuamente lo sguardo al solco del passato, ed essere invece più attenti ad arare il terreno che ci sta dinanzi gettando del buon seme per il domani, la fretta di archiviare ciò che è accaduto talora tradisce la voglia di non imparare la lezione che la storia ci impartisce. Così, la messa al bando di parole come 'eugenetica' assume il compito di esorcizzare il tempo presente dagli spettri di cattive idee che riteniamo essere già sepolte insieme a coloro che le hanno diffuse o praticate. Ma le cattive idee sono più pericolose degli uomini cattivi perché talora sopravvivono alla morte di questi ultimi, si lavano dalle vistose macchie di violenza e di sangue che le hanno originalmente segnate, e acquistano una nuova, falsa identità che consente loro di circolare pressoché indisturbate nella società odierna. Sembra essere, questa, la vicenda della parola 'eugenetica', che è la lunga «storia di una cattiva idea», come l’ha definita Elof Axel Carlson. L’idea, cioè, che la dignità di una donna o di un uomo dipenda dalle proprie qualità congenite, dalla capacità di svilupparsi in un soggetto sano, robusto, intelligente, comunicativo, in grado di inserirsi con successo nella società, contribuendo al suo benessere con la propria attività e non gravandola di oneri assistenziali. Persone o categorie di persone che hanno meno valore di altre a motivo delle loro origini o del loro stato di malattia, handicap, oppure suscettibilità a disordini fisici e comportamentali, la cui vita viene definita 'inadatta', 'indesiderabile' o 'non degna di essere vissuta'. Occorre distinguere tra la genetica umana, preziosa scienza dell’ereditarietà e dell’informazione biologica, e l’eugenetica, deplorevole ideologia della selezione degli esseri umani. Benedetto XVI lo ha fatto lucidamente e incisivamente nel suo discorso di ieri agli accademici pontifici. Da una parte, la genetica «ha contribuito al prodigioso sviluppo delle conoscenze sull’architettura invisibile del corpo umano e i processi cellulari e molecolari che presiedono alle sue molteplici attività».Grazie a «queste conoscenze, frutto dell’ingegno e della fatica di innumerevoli studiosi», è oggi possibile «una più efficace e precoce diagnosi delle malattie genetiche» e si intravedono anche nuove «terapie destinate ad alleviare le sofferenze dei malati». Ma vi è anche un’altra faccia della medaglia al valore. Mentre è da tutti condivisa «la disapprovazione per l’eugenetica utilizzata con la violenza da un regime di Stato» – osserva il Santo Padre – si «insinua una nuova mentalità», talora chiamata 'eugenetica liberale', volta a discriminare l’essere umano «in presenza di un difetto nel suo sviluppo o di una malattia genetica». Ciò porta i genitori, con la complicità di alcuni medici, alla «selezione e al rifiuto della vita in nome di un ideale astratto di salute e di perfezione fisica». Anche in questo caso – conclude il Papa – a far da padrone sulla vita è «l’arbitrio del più forte». Riconoscendo in essa una strada verso la conoscenza dell’immenso mistero del creato e una grande possibilità di servizio al bene comune, la Chiesa nutre profonda stima verso la scienza, rispetta e promuove l’uso di un corretto metodo scientifico, e incoraggia le buone applicazioni delle sue scoperte alla diagnosi e alla terapia medica. Al tempo stesso, però, la Chiesa non può tacere di fronte alla rinascita, sotto diverse spoglie, di un pensiero e di una azione che, appellandosi a effettive o presunte conoscenze scientifiche, discriminano l’uomo e lo umiliano, lui, l’unica creatura che porta in sé la coscienza di tutto l’universo. Una cattiva idea, l’eugenetica (di stato o privata che sia), perché esalta il potere dei più forti sui più deboli, dei nati sui non ancora nati, dei genitori sui figli, e dei sani sui malati.