«I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche» (
Amoris laetitia, n.2). Ben detto, tanto per cominciare. E pazienza, aggiungo io, per i giornalisti, che tengono famiglia. Ma gli ecclesiastici, che non la tengono neppure (però ci devono tenere!), per quale motivo si consegnano all’eccitazione mediatica degli opposti fondamentalismi? Come se, invece che un profondo ripensamento sulla famiglia, la Chiesa avesse semplicemente convocato un tavolo di discussione sulle regole del divorzio.
L’autorevole "restituzione" papale dei lavori sinodali, imprime il sigillo del suo speciale "valore aggiunto" già con questa puntualizzazione. Il matrimonio e la famiglia sono una speciale benedizione di Dio per la condizione umana, decisiva per la qualità della umana convivenza, fondamentale per la testimonianza della fede. E questo è il punto.
Il cambio di passo che l’esortazione papale imprime all’atteggiamento della Chiesa è la sua immersione nella concretezza storica di questa benedizione. Non si tratta di mettere a punto un’ipotesi di laboratorio, che ignora le variabili storiche e scarta le sue applicazioni imperfette (siamo perfetti, noi?). Il pensiero e la prassi cristiana devono abitare e ospitare una realtà che è già vivente, per riconoscere e sostenere in essa i doni della grazia e le incongruenze della storia. L’alleanza della Chiesa e delle famiglie è indissolubile, di diritto e di fatto. La famiglia è parte integrante e preponderante del popolo di Dio: la Chiesa non esisterebbe, e non sarebbe quello che deve essere, senza la famiglia. Questa complicità – che si dovrà vedere, sentire, toccare – decide il nostro passaggio del Mar Rosso, che ci libera dalla schiavitù degli imperi mondani, restituendoci pienamente, in questa congiuntura di fondamentalismi religiosi, fondamentalismi politici, fondamentalismi tecno-economici, la libertà nella quale «Cristo ci ha liberati». Questa libertà è libertà dalla fatalità del peccato e dalla rassegnazione al male. Di fatto, oggi, vuol dire libertà di rimanere umani, non solo cristiani. L’alleanza d’amore, durevole e feconda, dell’uomo e della donna, riguarda l’intero del legame sociale. E fa la storia vera del mondo, non la cronaca rosa dei settimanali.
Per assimilare la profonda trasformazione di atteggiamento mentale che ispira lo stile dell’esortazione, mi limito per ora a due cenni. (Con ragione il Papa ha avvertito che il testo andrà ripreso con calma, più volte, per essere interiorizzato nel respiro e nel ritmo della sua meditazione: proprio come deve fare l’interprete di alto profilo con una partitura musicale). In primo luogo, questo testo è 'un grande racconto', non 'un grande trattato'. Esso si immerge totalmente nella realtà umana della famiglia, facendo lievitare da questa concreta frequentazione la bellezza della forma cristiana che la manifesta e della misericordia divina che la ispira. Non da fuori. Dal cuore. Il cambio di stile, anche in rapporto alla
Relatio finale dei Sinodi, è definitivo. L’andamento sapienziale, la concretezza delle dinamiche, la temporalità dei processi, l’atteggiamento di fronte ai fallimenti. È di qui, e dentro questa storia, che parla il Vangelo (Gesù fece così!): lo scriba evangelico, fedele «discepolo del regno di Dio», è capace di trarre da questo tesoro «cose antiche e cose nuove» (Mt 13, 52). In secondo luogo, esiste un passaggio a sorpresa, in questa meditazione di papa Francesco, che segna il
climax dell’intero testo. Ed è destinato a produrre effetti di lunga durata. Il capitolo quarto, intitolato «L’amore nel matrimonio», è occupato dal luminoso commento, parola per parola, dell’Inno all’amore della Prima Lettera ai Corinzi (13, 4-7), non dal commento al Cantico dei Cantici. Nel passo di san Paolo si evoca la perfezione suprema dell’amore (la partecipazione dell’agape di Dio) al quale ogni
eros deve attingere, per non distruggersi e non distruggere. «L’amore – sintetizza papa Francesco – può mostrare tutta la sua fecondità quando ci permette di sperimentare la felicità del dare, la nobiltà e la grandezza del donarsi in modo sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di dare e di servire » (n. 94). Il matrimonio e la famiglia, nella visione cristiana, non sono un compromesso sentimentale per il quieto vivere: sono la matrice generativa e il banco di prova dell’amore che ci salva la vita. Ogni vita. In qualunque circostanza. La mossa di questo commento, a sorpresa, è tutta di Francesco. Ma non è un espediente retorico. La mossa rimette la barra della dottrina e della pratica cristiana sulla rotta della rivelazione autentica. E della grazia che l’accompagna, fin dall’alba della creazione dell’uomo e della donna. Una vera rivoluzione profetica, per le nostre abitudini mentali (laiche, ma anche ecclesiastiche) in tema di estetica e di drammatica dell’amore (e del matrimonio). Lo sguardo dell’agape di Dio, sulla bellezza e sulle contraddizioni di
eros, è incomparabilmente più profondo, più concreto, più fine del nostro.