Opinioni

L'analisi. L'Italia dei beni comuni è vitale e chiede spazio

Diego Motta martedì 12 dicembre 2017

La frase 'È di tutti, dunque non è di nessuno' ha avuto da sempre grande successo nell’Italia dello scaricabarile e dell’individualismo spinto, originando comportamenti di indifferenza sociale o di appropriazione indebita, a seconda dei casi. Dagli appartamenti occupati nelle case popolari alla devastazione delle zone verdi lasciate a se stesse, la casistica è ricca di storie in cui alla presa in carico di ciò che è abbandonato si è preferita la via della noncuranza, del degrado e dell’oblio. Ora qualcosa sta cambiando, per scelta e per necessità. Dalle grandi città ai piccoli paesi, sul territorio crescono piani di rigenerazione sociale. Non passa giorno, infatti, che non arrivi notizia di buone pratiche sul fronte dei cosiddetti 'beni comuni': immobili, ferrovie, fabbricati, boschi che dal nulla diventano improvvisamente patrimonio per la comunità, pronta a mobilitarsi per salvare realtà altrimenti a rischio. È uno scenario inedito per la penisola, che ancora non ha fatto un vero e proprio censimento delle opere inutilizzate che pure servirebbero agli italiani, tanto più in una fase storica come questa in cui si assiste a un silenzioso ripiegamento della proprietà privata. Sono storie di cittadini che si attivano, di gruppi di pressione che si autoorganizzano e perseguono interessi generali, di cooperative e associazioni che non ragionano più semplicemente per logiche d’appalto o di concessione, ma hanno l’ambizione di operare in una dimensione paritetica rispetto al pubblico, non essendo 'altro' rispetto alle comunità da cui provengono. Storie che, in sintesi, hanno un impatto sociale sul territorio, perché insistono sulla coscienza civile dei suoi abitanti.

I UNA PRESA IN CARICO COLLETTIVA n Val Cavallina, nella Bergamasca, in pochi mesi, la cooperativa 'L’Innesto' ha raccolto centinaia di migliaia di euro per rilevare dalla Provincia la Casa del pescatore, storico presidio turistico sul Lago d’Endine. È stato possibile anche grazie a una rete di soci consolidata sul territorio. In molti Comuni della Toscana, dell’Emilia Romagna e del Piemonte, si moltiplicano regolamenti per la valorizzazione di edifici pubblici abbandonati, l’organizzazione di eventi culturali, l’adozione di giardini e aiuole. Banca Etica ha messo in fila 13 progetti in materia sviluppatisi in tutta Italia, meritevoli di finanziamento e di coinvolgimento dal basso di potenziali risparmiatori e sottoscrittori: tra questi, ci sono la riqualificazione e la trasformazione in orti sociali di terreni confiscati alla mafia a Palermo, la gestione di atri e la costruzione di nuovi spazi nelle stazioni ferroviarie di Ivrea, in Piemonte, e Pontecagnano, in Campania, la ristrutturazione di un ex centro anziani a Lamezia Terme. A Colorno, in provincia di Parma, l’Associazione Comuni Virtuosi ha lanciato una campagna di crowfunding per realizzare un 'Bosco del tempo', un vero e proprio frutteto di frutti dimenticati da inserire in un’area verde pubblica messa a disposizione dal Comune.

PARTECIPAZIONE E FORMAZIONE I l mercato dei beni comuni ha un potenziale enorme, ma è difficile da quantificare: di fatto riguarda risorse condivise da gestire, secondo la definizione che viene data dagli accademici, in modo che l’accesso e l’utilizzo del bene siano garantiti a tutti e che ciò sia economicamente sostenibile per la comunità. Per questo è cruciale il ruolo del terzo settore, dalle cooperative alle associazioni. Cittadinanzattiva, ad esempio, ha proposto d’accordo con l’Università della Calabria una vera e propria scuola di riuso per formare figure professionali in grado di recuperare e gestire dei beni inutilizzati e nello stesso tempo ha puntato sul recupero delle zone industriali dismesse: capannoni industriali, uffici, case cantoniere, cascine, ferrovie, stazioni, ospedali, centrali elettriche, abitazioni, centri sportivi. Sullo sfondo c’è un bisogno di partecipazione della società civile che la politica ha saputo soltanto in piccola parte intercettare, attraverso provvedimenti che qua e là hanno fatto intendere d’aver intuito la portata del fenomeno. Ma è soprattutto dal territorio e dall’impegno dei Comuni che stanno arrivando, attraverso i regolamenti di gestione, i segnali più interessanti.

INTERESSI CONVERGENTI L a congiuntura è favorevole anche per ragioni pratiche, tutt’altro che ideali. Molti imprenditori, in particolare nel Nord Est, sono sempre più decisi a non regalare tasse allo Stato e in certe zone sono arrivati a scoperchiare i tetti dei fabbricati inutilizzati per evitare di pagare il fisco. In questo modo il capannone non è più in loro gestione, ma non è ancora a disposizione di tutti. Paradossalmente, un gesto di sfiducia verso l’ente pubblico può rappresentare però il viatico per una nuova storia. «Il punto è che tentare di vendere un immobile allo Stato resta difficile: innanzitutto c’è un problema di negoziato, poi va affrontato il tema dello stato manutentivo dell’immobile – osserva Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma – . Per diventare un bene 'di tutti e per tutti', è necessario prima avere un progetto che metta insieme pubblico e privato e poi individuare un percorso comune attraverso la modifica della destinazione d’uso dell’immobile. Potremmo dire che un 'bene' diventa 'comune' soltanto nel momento in cui c’è un progetto che crea valore per la comunità».

IL NODO DELLA PROPRIETÀ PRIVATA A chi spetta il primo passo? Normalmente al Comune, cui tocca fare valutazioni sulla valorizzazione dell’immobile, d’accordo con realtà del terzo settore, una volta accertata la capacità del privato di sobbarcarsi i costi residuali. Questo non vuol dire che a una crescita del mercato dei 'beni comuni' debba corrispondere per forza un arretramento della proprietà privata. Secondo Giampaolo Marcoz, consigliere nazionale del Notariato, in realtà «non sembra emergere una erosione della proprietà privata con dismissioni in favore di enti pubblici: dai dati statistici notarili che ci permettono di confrontare il 2016 e il 2017 non c’è un aumento dei trasferimenti in favore di enti pubblici. Si tratta peraltro di una scelta che non incontra il favore degli enti pubblici, non sempre disposti ad accettare le dismissioni proposte». Ciò detto, la cessione in favore dello Stato gode di un particolare vantaggio fiscale in quanto è esente da imposte. «In una situazione economica di stagnazione, sugli immobili di proprietà sta avanzando una legittima esigenza di monetizzazione da parte dei cittadini, ma lo Stato non può essere un acquirente avendo già immobili propri da valorizzare» aggiunge Dondi. È necessario dunque uscire dalle secche dell’immobilismo per accelerare sui nuovi progetti, consapevoli del fatto che i piani di rigenerazione richiedono tempo, pazienza e una costante mobilitazione della società civile.