Fede cattolica e impegno pubblico. L'irrilevata rilevanza
Cattolici che non riuscirebbero più a essere rilevanti in politica. Anche di questo si parla in uno strano e confuso dibattito elettorale. E se fosse il contrario, se cioè fosse la politica che non riesce a coinvolgere i cattolici, come non coinvolge altre componenti importanti della società italiana? Ma procediamo con ordine. La mancanza di un’offerta elettorale cattolica, o di qualcosa di simile, spinge ad affermare che i cattolici sarebbero 'irrilevanti', non solo in politica ma in tutta la vita pubblica. I motivi? Sarebbero senza identità precisa, divisi tra loro e dispersi tra cause diverse, e comunque non sono riusciti nell’impegno culturale sui valori o appaiono subalterni ad altre forze politico-ideologiche. Che qualcuno non li veda, però, non significa che i cattolici non ci siano. C’è chi sostiene addirittura che siano completamente assenti dalla vita pubblica. Ma non sembra. E mi sia permesso di fare l’esempio del giornale che state leggendo, in cui una pluralità di voci diverse esprime una sensibilità comune su molte questioni di fondo.
Dunque, i cattolici pensano, scrivono e comunicano (non lo fa solo il Papa). Tra i temi di cui si occupano ci sono la guerra e le questioni internazionali, le disuguaglianze economico-sociali e i grandi fenomeni migratori, le urgenze dei più poveri e la salute di tutti, la difesa della vita dai nascituri agli anziani, le nuove sfide antropologiche e quelle educative, i problemi delle periferie sociali e geografiche (si pensi all’impegno degli stessi vescovi per le troppo dimenticate «aree interne» del Paese) e quelli serissimi dell’ambiente e le spinte alla polarizzazione... Non esattamente problemi di nicchia che interessano solo alcuni, ma temi cruciali per costruire un progetto comune. Sono i problemi degli italiani. E del mondo.
La questione, dunque, va probabilmente circoscritta al campo politico o, meglio, a una sua parte. Non vanno dimenticate, in primo luogo, presenze significative ai vertici delle istituzioni. Nelle recenti elezioni amministrative, inoltre, sono stati eletti sindaci e consiglieri comunali con una fisionomia cattolica chiaramente riconosciuta da amici e avversari. Anche alcuni candidati alle prossime elezioni politiche hanno tale fisionomia. Ma tutto ciò ovviamente non esaurisce la questione di una 'presenza cattolica' nella politica nazionale, laddove si dovrebbe mettere mano alla casa comune di tutti gli italiani.
Quando si parla di irrilevanza dei cattolici il confronto implicito è, in genere, con la Dc. Naturalmente è lecito pensare che la stagione democristiana sia stata migliore dell’attuale. Ma il tempo dei partiti 'cattolici' – sono etichette che ovviamente richiederebbero molte precisazioni – in diversi Paesi europei e latino-americani ha costituito piuttosto un’eccezione che la regola nella lunga storia del cattolicesimo. Nel secondo dopoguerra novecentesco, tale eccezione si è potuto realizzare perché un’iniziativa politica dei cattolici – sostenuta in varie forme dall’istituzione ecclesiastica – rispondeva alla loro esigenza di inserirsi nella società di massa e all’esigenza di quest’ultima di avvalersi di un partito 'cattolico' per passare alla democrazia o per consolidarla, secondo la felice sintesi degasperiana. Oggi i cattolici non sentono in modo stringente il bisogno di creare un loro partito perché la società è profondamente cambiata e, in essa, è molto cambiato anche il modo di essere della Chiesa. Ma ciò non significa che non sentano la responsabilità di contribuire al bene comune e che non ci siano tra di loro energie disponibili a impegnarsi in politica. Ma le maggiori difficoltà vengono da quest’ultima: se i cattolici non sono massicciamente presenti in politica è soprattutto perché quest’ultima che non riesce a utilizzarne le risorse (e non avviene solo nel loro caso).
È il segno di una più ampia crisi della politica a livello nazionale, non solo in Italia. Lo vediamo in questa campagna elettorale: molti partiti – non tutti – non riescono a discutere dei grandi problemi che riguardano il sistema Paese e la sua collocazione internazionale. Se Draghi è stato chiamato alla guida del governo non è stato per caso. E sull’esito delle prossime elezioni c’è purtroppo una certezza: chiunque vinca, l’Italia sarà più debole sul piano europeo e internazionale, proprio quando tutte le decisioni importanti per il nostro Paese – come per altri – si prendono in sede europea e internazionale. Il problema non riguarda solo le élite politiche. In un certo senso sono gli italiani come popolo a essere in crisi: non sanno bene chi sono, dove vanno e che cosa vogliono. Sono problemi comuni ad altre situazioni, dagli Stati Uniti d’America alla Gran Bretagna, dalla Francia alla Germania, dove le difficoltà delle istituzioni e della politica riflette – come in Italia – problemi di coesione sociale e d’incertezze di fondo sui fondamenti della convivenza. C’è questo dietro la crisi della democrazia che le politiche populiste e sovraniste non risolvono ma anzi aggravano. Ed è una crisi che preoccupa anche molti cattolici.