Politica dell’asilo. L'ipocrisia dell'Europa di fronte ai profughi
I governi dell’Ue non riescono a definire una nuova politica dell’asilo, e più complessivamente di gestione dell’immigrazione. Al tema hanno dedicato, a quanto risulta, otto minuti nell’ultimo vertice. In questa impasse, la linea su cui convergono consiste nel ribadire e rafforzare l’esternalizzazione delle frontiere. Su impulso tedesco si rinnoveranno gli accordi con la Turchia. Si prevedono nove miliardi di spesa. Anche sul versante Sud si vorrebbe incrementare la medesima po-litica, già ispiratrice degli accordi con la Libia del governo Gentiloni-Minniti e di altri simili, come quello con il Niger. Qui la promessa è di otto miliardi aggiuntivi.
Questa politica, spesso giustificata con la chiusura dei governi del blocco di Visegrad, è in realtà assai più condivisa. Lo stesso Mario Draghi, purtroppo, l’ha convintamente sposata in occasione del suo ultimo incontro con Angela Merkel. Oltre all’indignazione morale per l’indifferenza verso le vittime di questa cinica impostazione, già espressa con vigore dal direttore di questo giornale pochi giorni fa, alcuni rilievi di fatto consentono di affermare che si tratta di un passo sbagliato.
Anzitutto, non è vero che l’Ue sta sopportando flussi ingenti e incontrollabili di richiedenti asilo. Nel 2020 hanno chiesto asilo nell’Unione Europea circa 416.600 persone, oltre 200.000 in meno rispetto al dato 2019 (631.300). Soprattutto, si tratta di un terzo rispetto al picco toccato nel 2015-2016, quando il dato aveva raggiunto rispettivamente 1.321.000 e 1.259.000 casi. Saremmo in realtà in un momento favorevole per costruire nuove soluzioni, al riparo da urgenze impellenti. Lo stesso piano von der Leyen del settembre scorso insiste invece sui rimpatri (citati 88 volte) e sugli accordi con i paesi esterni, come principale strategia dell’Ue sull’argomento.
In secondo luogo, l’Italia non è affatto in prima linea, come si continua a ripetere acriticamente nel nostro ristretto cortile. Ha ricevuto nel 2020 21.200 domande di asilo (39% in meno rispetto al 2019), e si situa al quinto posto nell’Ue dopo la Germania (102.500), la Spagna (86.400, per effetto soprattutto degli arrivi dal Venezuela), la Francia (81.800) e la Grecia (37.900). Anche considerando i casi accumulati nel corso degli anni, siamo sotto la media dell’Europa Occidentale. Secondo l’Unhcr, a fine 2019 il nostro Paese accoglieva 3,4 tra rifugiati e richiedenti asilo ogni 1.000 abitanti, contro circa 25 della Svezia, 18 di Malta, 15 dell’Austria, 14 della Germania, 6 di Danimarca, Grecia e Francia. Le convenzioni di Dublino andrebbero riviste, perché impongono obblighi di accoglienza disuguali ai governi nazionali, ma non perché l’Italia sia particolarmente penalizzata.
In terzo luogo, come italiani ed europei stiamo piegando la promozione dello sviluppo e la cooperazione internazionale all’obiettivo del controllo dei confini. I governi interessati ricevono fondi a patto che collaborino nel fermare i migranti, comprese donne, famiglie con bambini, persone in fuga da guerre e repressioni. Per di più, chiamiamo sviluppo l’acquisto di armamenti e il finanziamento di centri di detenzione. Ma anche quando si parla di affrontare le cause profonde delle migrazioni, si finge di ignorare un dato: lo sviluppo rallenta l’emigrazione solo nel lungo periodo. Nel breve termine si associa con un aumento delle partenze, perché sale il numero delle persone che accedono alle risorse per partire, crescono le aspirazioni, cresce l’istruzione, che a sua volta incentiva la partenza verso Paesi dove un titolo di studio rende di più. Si deve sostenere lo sviluppo dei popoli, ma non far credere che questo serva a contenere le migrazioni nei prossimi vent’anni.
Infine, c’è il dazio politico da pagare. Non solo gli accordi mettono di fatto l’Ue in una posizione subalterna rispetto agli Erdogan con cui si scende a patti, ma la stessa immagine dell’Europa come il faro dei diritti umani nel mondo si macchia di una pesante ipocrisia: forse accoglieremo i perseguitati, ma prima facciamo di tutto per impedire loro di arrivare alle nostre frontiere e chiedere protezione. Non è questa l’Europa sognata dai padri fondatori.