Opinioni

Sulle adozioni omogenitoriali. L’interesse del bambino prima di tutto. O no?

Luciano Moia martedì 15 novembre 2016

La scienza non fornisce risposte univoche, l’opinione pubblica è divisa. Le associazioni che si occupano di adozioni non fanno mistero delle loro perplessità. Ma, visto che la politica avrebbe già deciso di allinearsi ai Paesi considerati più sensibili ai nuovi 'diritti civili', occorre al più presto attrezzarsi per affrontare la complessità di una situazione profondamente divisiva. La questione delle adozioni omogenitoriali rischia così di condensare il peggio del paradosso ideologico: siamo al cospetto di un diritto da concedere a prescindere, senza prima aver espletato tutte le verifiche del caso e senza aver messo in campo tutte le misure dettate dalla cautela che la delicatezza della situazione imporrebbe.

Molto, purtroppo, lascia pensare che la strada sia pressoché irreversibile anche in Italia. La macchina messa in moto subito dopo lo stralcio della stelpchild adoption dalla legge sulle unioni civili, con l’indicazione di arrivare quanto prima possibile alla riforma della legge 184 sulle adozioni, sembra infatti muoversi su un percorso già deciso. Anche l’indagine conoscitiva sull’attuazione della legge, avviata a tempo di record con decine e decine di esperti 'auditi' anche nei mesi estivi, contribuisce a rafforzare la tesi di coloro che leggono in tanta sollecitudine l’obiettivo di far rientrare dalla porta principale la possibilità di adottare per le coppie gay esclusa dalla legge Cirinnà.

Se questo è il proposito esplicito, sebbene non apertamente dichiarato, non avrebbero grande rilevanza le criticità e gli inviti alla cautela arrivati da giuristi, responsabili di associazioni, presidenti di tribunali dei minori, rappresentanti di enti pubblici e privati davanti alla Commissione giustizia della Camera nel corso delle audizioni. Allo stesso modo rischiano di risultare irrilevanti le indagini scientifiche sul tema, come quella presentata ieri nel corso del grande convegno organizzato dal Ciai a Milano (ne parliamo a pagina 11). Un lavoro accurato che prende in esame ciò che è stato prodotto dalla ricerca socio-psicologica negli ultimi vent’anni a livello internazionale per cercare di fare luce sui possibili rischi connessi all’adozione omosessuale.

Le coppie gay possono essere una risorsa? I bambini adottati da queste persone rischiano di crescere con disturbi di identità? La mancanza di riferimenti simbolici che rimandano all’alterità sessuale di una mamma donna e di un padre uomo possono innescare processi di confusione e di disorientamento nella formazione della personalità del minore? Le risposte appaiono tutt’altro che definitive. Non tanto perché la maggior parte dei ricercatori non sia pronunciato a favore dell’adozione omogenitoriale.

Ma per la natura stessa di quelle ricerche. Per il campione in molti casi esiguo, per l’origine dei dati ricavati quasi esclusivamente dalle famiglie omogenitoriali stesse. E una coppia che si rende disponibile a un’indagine sul tema non può che essere sensibile a obiettivi di rappresentanza della condizione gay. Quasi nessuna delle ricerche aperturiste ha, per esempio, tentato di coinvolgere nell’indagine gli insegnanti di quei bambini, o di ascoltare il parere dei vicini di casa.

Come impongono cautela le pressioni e i finanziamenti politici che stanno dietro a tante ricerche sull’argomento, 'commissionate' da enti che avevano proprio l’obiettivo di proclamare la tesi della 'nessuna differenza' tra genitori etero e omosessuali. Infine è stata sottolineata la quasi completa assenza di studi con follow-up a lungo termine per valutare eventuali mutamenti della condizione rilevata. Insomma, se le ricerche a favore dell’omogenitorialità sembrano preponderanti, non bisogna nascondere il fatto che la natura, il metodo e gli obiettivi ideologici ne ridimensionano fortemente la credibilità. In ogni caso, anche mettendo per un attimo tra parentesi questi aspetti, i motivi di incertezza appaiono obiettivi.

Come rimane tutta da definire l’urgenza sociale di aprire alle coppie omogenitoriali. Nell’ultimo decennio il numero delle adozioni si è dimezzato in tutto il mondo e gli stessi Paesi da cui proviene il maggior numero di bambini hanno limitato fortemente le partenze. Tra i minori che continuano ad arrivare, sono sempre di più quelli con problemi di disabilità o di equilibrio psicofisico, spesso determinato dalla lunga permanenza negli istituti. Casi così complessi da risultare troppo difficili anche per coppie con lunga esperienza genitoriale. E infatti aumentano drammaticamente quelle che con linguaggio burocratico si definiscono 'restituzioni'.

Ora, è giusto caricare su bambini o ragazzi che già hanno sulle spalle pesanti sofferenze, spesso con rifiuti multipli, il peso di esperimenti adottivi di cui nessuno può garantire l’esito? Se qualcuno si sente di affermare che il superiore interesse del bambino – e di un bambino che ha già vissuto esperienze dure e spesso atroci – può essere accantonato per un obiettivo che oggi appare segnato da un pesante vulnus ideologico, procediamo pure spediti con l’adozione omogenitoriale. In caso contrario fermiamoci, valutiamo bene ogni passo. E ricordiamoci che al primo posto c’è il diritto dei bambini e di nessun altro.