L'intatto valore del 25 Aprile d'Italia e la sfida nera che non va sottovalutata
Gentile direttore,
sono semplicemente uno dei tanti giovani italiani che ha deciso di lasciare la propria bellissima terra, deluso dalla situazione politica, sociale ed economica del Paese dov’è nato. Io e mia moglie viviamo oggi in Germania e più precisamente a Berlino. Seguo con grande attenzione i fatti italiani perché nel profondo del mio cuore, e in quello di mia moglie, è grande il desiderio di tornare, un giorno, dalle nostre famiglie. Siamo alla vigilia del 25 Aprile e alle spalle abbiamo fatti recenti e incresciosi. Infatti, nonostante siano già passati un certo numero di giorni, mi ritrovo ancora scosso a pensare alle immagini di Torre Maura: pane calpestato, folla inferocita contro altri esseri umani, ma soprattutto persone che totalmente indisturbate facevano il saluto romano cantando l’Inno italiano, l’Inno della Repubblica democratica e antifascista. Questo è l’Italia e come tale deve operare affinché la pace e i valori di uguaglianza e di solidarietà vengano, non solo rispettati, ma assicurati. A Chemnitz, in Germania, l’anno scorso qualche centinaio di neonazisti di Pegida hanno messo a ferro e fuoco la città inneggiando a Hitler e facendo saluti nazi-fascisti e, come è normale aspettarsi da un Paese civile, democratico ed europeo, data la presenza di numerosi video, queste persone sono state fermate e assicurate alla giustizia. Perché questo non accade in Italia? Da quando atti fascisti vengono di nuovo tollerati? Da quando si può inneggiare al ventennio fascista totalmente indisturbati? Che cosa mi sono perso in questi anni? L’apologia di fascismo è reato! Queste persone devono essere identificate e assicurate alla giustizia perché l’Italia, il mio Paese, non merita queste barbarie. Con il 25 Aprile alle porte è bene riflettere con forza sui valori che, dopo la Seconda guerra mondiale, hanno contribuito a costruire un’Italia e una Europa di pace.
Caro direttore,
le celebrazioni del 25 Aprile durante la cosiddetta Prima Repubblica rappresentavano un momento unitario di tutte le componenti politiche, sociali e culturali che si riconoscevano nella Costituzione. Spesso nelle piazze gruppetti di estrema sinistra contestavano gli oratori con motivazioni settarie e strumentali, ma nessuno criticava il diritto- dovere di ricordare la Liberazione. Con la cosiddetta Seconda Repubblica si è cercato, da parte di alcune correnti di destra, di storicizzare questa ricorrenza, presentandola come divisiva ed evidenziando la necessità di superarla. Oggi, alba di quella che qualcuno già chiama la Terza Repubblica, il vicepremier Salvini e i ministri leghisti hanno annunciato che diserteranno le manifestazioni del 25 Aprile, cercando di delegittimarne il valore istituzionale e il significato pedagogico. Evidentemente i “sovranisti” non considerano rilevante ricordare alcuni fondamentali avvenimenti storici che sono alla base della nostra democrazia, così come in Germania un partito di estrema destra (Afd, alleato della Lega alle elezioni europee) sostiene posizioni revisioniste sulla Shoah.
Signor direttore,
il 25 Aprile al mattino non sarò in piazza assieme ai “compagni” negazionisti delle foibe, infatti, Tito non era tanto meglio di Mussolini, ma mi recherò al cimitero perché proprio nel giorno della liberazione nel 1937 morì mia nonna, e nel 1993 persi la mamma. Mentre al pomeriggio, e al bando le chiacchiere, come tutti i mercoledì farò il volontario in una Casa di riposo al servizio di chi ha fatto sacrifici per fare l’Italia e ora è finito come ultimo degli ultimi senza magari più nessuno, o peggio ancora con l’Alzheimer. Forse non sono normale ma alla piazza urlante preferisco chi soffre in silenzio. Enzo Bernasconi Varese Gentile direttore, in occasione della festa del 25 Aprile rilancio la proposta d’intitolare una piazza o una strada principale di Napoli ai Martiri di Cefalonia e Corfù, agli oltre 10mila soldati e ufficiali italiani che, nel lontano e sanguinoso settembre 1943, decisero di resistere all’assalto tedesco, perdendo la vita ma non l’onore. Tempo addietro, grazie al personale interessamento dell’allora capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, che ne fece esplicita menzione nel discorso pronunciato in ricordo della battaglia di Porta San Paolo, in quello che egli stesso definì il «viaggio della memoria», l’eccidio di Cefalonia, dove fu decimata la divisione Acqui, fu rimosso dall’oblio in cui era stato lasciato cadere per troppo tempo. Più di recente, presenti i reparti della neo-ricostruita Acqui di S. Giorgio a Cremano e le maggiori autorità cittadine, nel Maschio Angioino è stata anche scoperta una lapide che ricorda il sacrificio dei soldati caduti. Da ricordare anche il discorso pronunciato, proprio a Cefalonia, dall’allora presidente della Repubblica, Napolitano, in occasione del 62esimo anniversario della liberazione, con il quale fu reso nuovamente omaggio ai combattenti e ai caduti della divisione Acqui.
Caro direttore,
disgraziatamente è ancora vivo l’odio dell’uomo contro l’uomo! Purtroppo sempre più frequenti vediamo immagini di distruzione e di morte, provocate da scellerati che, diventando prede del demonio, spargono sangue innocente in tante parti del mondo. Ecco perché il “nostro” 25 Aprile deve essere innanzitutto festa di liberazione dall’odio, quell’odio che non si sconfigge con vuote parole, ma facendo parlare le coscienze. E che siano nuove queste coscienze, totalmente rinnovate interiormente. Devono essere solo le coscienze a parlare, e da tutte esca una sola parola, una sola mèta, un solo grido: pace! E soltanto quando non ci limiteremo a scriverla sui muri o sui manifesti o sui giornali, ma la scolpiremo nel profondo dell’animo di ognuno di noi, la parola “pace” assumerà il vero significato e aprirà il cuore dell’uomo ai più ampi orizzonti d’amore e di progresso, civile e morale. Solo allora avremo pace noi ed avranno pace i morti di tutte le guerre, di tutte le ideologie, di tutte le resistenze, di tutte le bandiere. Solo sradicando dal nostro essere l’odio, il rancore, la sete di potere e l’ignoranza riusciremo a dare il vero valore alla festa del 25 Aprile! I morti dei Lager, delle Foibe, di via Fani, di Capaci, di via D’Amelio, di via Carini ecc., vogliono pace e, soprattutto, non vogliono essere morti invano. Quei pochi fanatici che applaudono i nazisti che massacrarono gli inermi ebrei, quei naziskin che colpiscono sfortunate persone dalla pelle di un altro colore, quegli esaltati che in nome di Dio osano massacrare persone inermi e innocenti altro non sono che poveri malati bisognosi di cure, e possono essere “curati” solo da uno Stato al completo servizio del cittadino e del progresso, della democrazia e della libertà. Solo se tutte le forze politiche lavoreranno e collaboreranno onestamente e totalmente per il bene comune, si potrà costruire quello scudo che ci difenderà da ogni male, da ogni soverchieria, da ogni ingiustizia. Bisogna finalmente sotterrare tutte le asce da guerra e, proprio in nome dei martiri di ieri e di oggi, stringersi la mano e iniziare un cammino nuovo fatto di reciproca comprensione e solidarietà per ricostruire tutti insieme non solo la nostra Patria, ma il mondo intero dove ancora tante tragedie vengono consumate dall’uomo contro l’uomo.
Amo la libertà, cari amici. E la libertà di pensiero. Dunque, amo che idee e visioni differenti possano proporsi e articolarsi nella società, nel dibattito culturale e nell’agone politico. Purché nel rispetto reciproco, anche quando il dissenso è netto e la contrapposizione arriva a essere forte. E so che questa libertà ci è possibile in un’Italia (già fascista) che rimase unita e non dovette subire quel nuovo destino di divisione che toccò invece per lunghi anni alla Germania (già nazista), perché nel nostro Paese dopo la dittatura nera e i suoi misfatti venne un tempo politico e civile radicalmente diverso e nuovo. Un tempo preparato e abitato da uomini e donne che avevano saputo sperare, lottare e resistere anche quando ogni speranza sembrava inutile, ogni lotta vana, ogni resistenza impossibile. Fu una battaglia facile e sempre e solo giusta? Nessuna guerra lo è, mai. Perché in ogni guerra, su qualsiasi fronte, ogni vittima pesa e porta il doloroso marchio di Abele e quello atroce di Caino (Eraldo Affinati ricorda anche questo, da par suo, nel fondo che ho scelto di pubblicare oggi in prima pagina). Ma quella fu certamente una battaglia di libertà. E questo conta, conta immensamente. Ecco perché ho scelto cinque lettere così diverse tra loro per toni e argomenti, ma non per timbro di fondo, tra i messaggi che ho ricevuto a proposito del 25 Aprile. Un giorno che per me (come per i veneziani...) è anche la festa di san Marco, ma che per tutti è la Festa della Liberazione, memorabile anniversario del culmine di una terribile e decisiva fase della Seconda guerra mondiale, in cui lo scontro sul nostro territorio nazionale con le armate tedesche schierate sotto la bandiera nazista si mescolò con la guerra civile. Culmine vittorioso per “quelli dalla parte giusta”: i Partigiani e il ricostituito Regio Esercito. Grazie dunque a loro, per ciò che hanno fatto per noi. E grazie a quanti mi scrivono, condividendo pensieri e proposte. Non intendo commentarli. Sono parte della libertà, ripeto, che coloro che hanno sconfitto i nazifascisti ci hanno assicurato. Ma su una questione mi soffermo, proprio perché amo la libertà e credo che la consapevolezza del bene e del male ci aiuti a preservarla e a continuarla. Voglio essere semplice e diretto su questo punto, perché nutro lo stesso sconcerto e provo la stessa amarezza del signor Menchelli che oggi guarda l’Italia da Berlino dove vive e lavora con la sua famiglia, ma in Italia vorrebbe ritornare. Un’Italia che sia ancora se stessa. E dunque – dico io – un’Italia ancora e sempre «liberata», una patria in cui non ci sia spazio né indulgenza per i nostalgici della dittatura fascista, della bolsa e aggressiva retorica nazionalista e xenofoba, delle leggi e delle pratiche discriminatorie e infine apertamente razziste, della sopraffazione violenta e assassina degli avversari e dei proclamati 'nemici'. Per questo anch’io non riesco a capire come nel nostro Paese non si riescano a sanzionare come meritano i propagandisti del fascismo, smontandone i falsi miti e i veri e propri nidi lasciati crescere nella società e nei tessuti urbani in barba alle leggi poste a presidio della libertà di tutti tranne che della libertà dei nemici della libertà. I “padri” politici di costoro hanno lasciato cicatrici indelebili nel corpo e nell’anima dell’Italia e degli italiani, e nessuno può far finta che non sia così. Quanto accaduto ieri, vigilia del 25 Aprile, a piazzale Loreto a Milano e nei giorni scorsi in diverse aree di Roma è la prova provata dell’arroganza di certi nostalgici: non si tratta di oscuro folklore, ma di sfide inaccettabili. Che vanno prese tremendamente sul serio.