Opinioni

Ciò che serve oltre la “stretta”. L’insegnamento del Codice Rosso

Antonella Mariani venerdì 8 settembre 2023

E dunque, il Codice penale italiano si arricchisce, attraverso un decreto governativo, di nuove norme di «contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile». Dopo gli stupri di Caivano e di Palermo, commessi in entrambi i casi da giovanissimi e maturati in ambienti dove di frequente la scuola è un optional e il richiamo della piccola criminalità potente, era questa una parte della risposta che la premier Meloni aveva promesso e che è stata offerta all’opinione pubblica in tempi rapidissimi. L’altra parte, anch’essa approvata ieri dal Consiglio dei ministri, riguarda il rafforzamento della scuola al Sud e il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno.

Sintetizzando e semplificando, il menù che il governo sta mettendo sul piatto è: manette ed educazione. E, si spera, più sviluppo e lavoro “in chiaro”. Tutto bene, dunque? Non del tutto. È in particolare sul “Decreto sicurezza” che si addensano alcune domande. Chi (e come, e quando, e dove…) arresterà una madre e un padre responsabili dell’elusione dell’obbligo scolastico? Che fine faranno i figli se i genitori ipoteticamente saranno condannati a due anni di detenzione? Chi, ancora, vigilerà che un minorenne già ammonito dal questore non sconfini dai limiti territoriali che gli sono stati imposti?

Sono solo esempi: il corpo delle norme varato ieri è complesso e il dubbio che rimane è che uno degli effetti collaterali possa essere un intasamento delle procure, delle carceri minorili e degli uffici di questure e prefetture. Senza contare che un controllo del territorio come quello preconizzato dalle nuove misure implica un dispiegamento massiccio di forze di sicurezza. Sul fronte del contrasto alla pornografia, poi, molti interrogativi restano aperti: tecnologici, educativi, di reale ed effettiva praticabilità.

Non sono domande e dubbi peregrini. In Italia abbiamo norme avanzatissime sull’omicidio stradale, ma non per questo gli incidenti mortali causati da comportamenti scorretti alla guida sono stati cancellati. Abbiamo un Codice Rosso imponente contro le violenze alle donne, che proprio ieri è stato arricchito in Parlamento con nuove misure per velocizzare e sburocratizzare le denunce e le indagini. Eppure, non solo i femminicidi non si fermano, ma assistiamo a numerosi casi in cui la denuncia di una donna non basta a salvarle la vita. È accaduto il 19 agosto a Piano di Sorrento, quando Anna Scala è caduta sotto le coltellate del suo ex compagno, che aveva denunciato due volte a fine luglio per atti persecutori. Anche Marisa Leo, uccisa ieri a Trapani dal padre di sua figlia che poi si è tolto la vita, lo aveva denunciato per stalking, ma poi durante il processo qualcuno o qualcosa l’aveva indotta a ritirare le denunce. Se si scoprisse che erano state le minacce, il quadro si farebbe ancora più fosco.

Intendiamoci, contro la delinquenza minorile così come contro i femminicidi, le leggi servono: la loro funzione d’indirizzo e “presa in carico” del problema è fondamentale, quella di deterrenza altrettanto. Ma le leggi non bastano, se non sono accompagnate da alcune condizioni.

La principale è la loro applicabilità. Se le donne si sentono in pericolo nonostante le denunce, se non ci sono risorse sufficienti sia in termini di personale sia in termini dei mezzi tecnologici di sorveglianza nei confronti degli uomini violenti, le vittime si terranno lontane da questure e caserme, nullificando il Codice Rosso e le sue avanzatissime prescrizioni. Così, nello stesso modo, se si capirà che le (nuove) leggi contro la delinquenza minorile o contro l’elusione dell’obbligo scolastico si scontreranno contro l’impossibilità o la difficoltà della loro applicazione, la strada della legalità e del recupero dei minori nelle periferie malavitose, così come invocata dal governo, resterà assai lontana.

In secondo luogo, le norme non devono cadere in un deserto, ma in un contesto sociale che crei le condizioni perché siano rispettate.

Nel caso della violenza sulle donne, occorrono seri interventi educativi a più livelli, a partire dalle scuole. Nel caso dell’elusione dell’obbligo scolastico e della delinquenza giovanile, la pur giusta severità delle leggi va accompagnata con misure altrettanto urgenti che ne affrontino le cause e siano in grado di produrre risposte efficaci. Le abbiamo già elencate diverse volte su queste pagine: assistenti sociali che accompagnino le famiglie a risolvere i problemi, opportunità di formazione e di lavori legali, reti civiche di sostegno alle famiglie. Lo “Stato sceriffo” non basta, se non è assieme anche agevolatore di una comunità educante.

Notiamo allora che tra le misure approvate ieri c’è sì il rafforzamento delle scuole, ci sono più fondi per i docenti, c’è la messa in campo di interventi per lo sport e per la cultura. Manca ancora, invece, un tassello che abbiamo visto operare con buona efficacia nei territori depauperati: uno stimolo al Terzo settore, un incoraggiamento alle associazioni, un sostegno fattivo al volontariato organizzato. Dopo i decreti, scatterà anche l’ora della società civile?