Opinioni

La parola della Chiesa dal 1914-18 a oggi. L'«incompatibile» guerra moderna

Marco Impagliazzo martedì 29 luglio 2014
Ricorre in questi giorni il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale. È un anniversario carico di significati drammatici e conseguenze di lungo periodo. Lo storico Fritz Stern, l’ha definito: «La prima calamità del XX secolo dalla quale tutte le altre sono fuoriuscite». Thomas Mann, in uno dei più grandi romanzi del Novecento, 'La montagna incantata', definisce la guerra frutto della «grande ebetudine». Una delle conseguenze di quella guerra, per tutto il Novecento, è stata la radicale sfiducia nella coabitazione tra popoli diversi. Con l’estremizzazione del discorso nazionalista si sono volute costruire nazioni omogenee dove non ci sarebbe più stato spazio per l’Altro. I due esempi più drammatici e aberranti del XX secolo: la strage degli armeni e degli altri cristiani nel 1915-1916 nell’impero ottomano che si avviava a essere Turchia e la Shoah, con la scomparsa e la distruzione di gran parte del popolo ebraico dall’Europa. La grande guerra ha avuto conseguenze terribili sul piano umano: sono morte circa 14 milioni di persone cui va aggiunto un numero simile di invalidi e mutilati e circa 5 milioni di profughi. Non si contavano in Europa gli orfani e le vedove di guerra. La crisi del sistema industriale, provocata dal rallentamento della produzione di materiale bellico, fece impennare i tassi di disoccupazione dopo la guerra. A essere particolarmente colpiti furono i reduci, gettati in gran parte ai margini di una società che ritenevano di avere difeso rischiando la vita. La reazione fu radicale: in Germania, in Austria, in Italia, ma anche in Francia, andarono a ingrossare le fila di movimenti di protesta antidemocratici che poi dettero vita a progetti politici totalitari come il fascismo e il nazismo. Va anche ricordata l’epidemia di influenza spagnola che, a partire dal 1917, colpì il mondo, ma soprattutto l’Europa. Non si conosce il numero delle vittime. Ma si parla di una cifra superiore alle vittime di guerra (tra i 20 e i 50 milioni).Con il 1914-1918, si afferma inoltre la guerra di massa, mai conosciuta prima. Il coinvolgimento totale della popolazione civile nello sforzo bellico è assolutamente nuovo rispetto ai precedenti conflitti. Il Papa della prima guerra mondiale, Benedetto XV, definì la guerra «inutile strage» e agì per salvare il salvabile. La pace era nel cuore dei suoi sforzi. L’incompatibilità tra cattolicesimo e guerra moderna era totale. Per Benedetto XV la guerra era diabolica e insostenibile per l’umanità con milioni di morti, immani rovine, cristiani che massacravano altri cristiani. Due terzi dei cattolici europei dell’epoca furono coinvolti nella guerra: 124 milioni con l’Intesa, 64 con gli Imperi centrali. La loro unità – sebbene spirituale – andò in frantumi con la guerra. Il nazionalismo lacerava la Chiesa, per sua natura universale. Benedetto XV, con la famosa nota ai belligeranti del 1 agosto 1917, scelse l’imparzialità in un certo senso attiva, cioè pacificatrice. Fu proprio l’imparzialità – non farsi coinvolgere nelle contese tra le parti – a consentire di fare il bene: soprattutto a sostegno dei feriti di guerra e dei prigionieri. Ha scritto Andrea Riccardi: «La neutralità e l’imparzialità erano la premessa per essere effettivamente solidali con tutti», cioè per svolgere un lavoro umanitario. Con la grande guerra la Chiesa ribadisce in termini inequivocabili la sua scelta per la pace. Tale scelta è alla base di ogni discorso e presa di posizione dei Papi in un secolo che ha conosciuto due guerre mondiali e tanti conflitti armati e freddi. Ne capiamo ancora meglio il valore in tempi più recenti, mentre la religione corre il rischio di essere strumentalizzata dalla guerra. La Chiesa ha aperto una strada, a livello mondiale, perché il binomio religione e guerra sia definitivamente rotto. In questa linea si è mosso il magistero dei Papi nel XX e XXI secolo. Basti pensare a Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Roncalli dedicò un’enciclica al tema della pace, la Pacem in terris, nella quale si intravede la strada per giungere all’abolizione della guerra. Wojtyla ha creduto e lavorato per le transizioni pacifiche, come in Polonia e nell’Est Europa. In questa linea papa Francesco, ricordando la prima guerra mondiale e guardando ai conflitti in corso in Terra Santa e in troppe altre aree del mondo, ha detto all’Angelus di domenica scorsa: «Mai la guerra! Mai la guerra! Fermatevi, per favore! È l’ora di fermarsi».