Coronavirus. L’importante è seminare E lo Stato faccia il suo
Le scuole sono state chiuse con decisione maturata nel tardo pomeriggio di mercoledì, i ragazzi son tornati a casa, quelli che studiano lontano in qualche università han pigliato il treno. Le scuole resteranno chiuse fino al 15 marzo, ma qualche giornale, maligno, si chiede: «Di quale anno?». Pare che la decisione di chiudere le scuole sia stata presa a maggioranza, con aspre discussioni (buon segno), e ancor oggi c’è chi dubita della sua saggezza.
Ma ormai è presa. I figli o nipoti son tornati da noi. Che ne facciamo? Vedo che la lingua ha subito inventato due termini nuovi, dobbiamo registrarli e usarli: 'aperturisti' e 'chiusuristi'. Non sono due termini belli, ma questo non vuol dire che non abbiano un futuro. Gli aperturisti son quelli che sentono di più la pesantezza e la nocività del provvedimento di chiusura: i giorni di scuole chiuse son giorni persi per la cultura dei ragazzi, il cervello dei ragazzi è un campo in cui l’insegnante semina, se non semina oggi non raccoglierà domani, perché dal campo non seminato non nasce niente. Questo ragionamento, assai diffuso e direi spontaneo, può essere però contestato: se sta a casa da scuola il ragazzo non può imparare da nessun’altra fonte? Le domande che deve porsi sono soltanto domande che nascono a scuola? E la società? La tv? I giornali? I libri? In una parola, la vita? Se pesco nella memoria, trovo anch’io nel mio passato di studente una vacanza improvvisa, non preparata, e fu la chiusura delle scuole per la morte di Benedetto Croce. Fu uno choc, per noi studenti. Muore un grande filosofo, e lo Stato chiude le scuole, si mette in lutto. Naturalmente noi studenti ci fiondammo sui libri del filosofo, che nella biblioteca del liceo c’erano.
Oggi si chiudono le scuole per l’epidemia, e 'La peste' di Camus aumenta le vendite del 300 per cento. Poi quel giorno di vacanza coatta noi ascoltammo la radio con attenzione. Per me fu un trauma. Perché il filosofo era un immanentista e un anti-manzoniano, ma la radio ci disse che sul letto di morte aveva annotato a matita una rivalutazione dei 'Promessi sposi', e aveva dichiarato: «La vita dev’essere un continuo contatto con Dio». Non so se aveva cambiato sistema, ma so che era entrato nel dubbio. Se non avessero chiuso il liceo per la morte di Croce, quel dubbio di Croce non l’avrei mai scoperto. È una delle scoperte più importanti della mia vita. Possono i ragazzi d’oggi fare analoghe scoperte? Come no? Perché stanno a casa? Per un’epidemia. Dunque stare a casa rientra fra le risposte all’epidemia. Rallenta il contagio, sgrava gli ospedali, è terapeutico: senza la vacanza coatta non lo scoprirebbero mai.
È una lezione. E un atto di solidarietà. I focolai sono tanti, se stanno a casa non ne favoriscono la crescita. Abbiamo le zone rosse, ma con le scuole chiuse i ragazzi a casa capiscono che intorno alle zone rosse ci sono tante zone rosa, e interesse della società è che non diventino rosse. Quando c’è un’epidemia, il problema è guarire i contagiati ma anche preservare i contagiabili. Ci può essere una congiungente tra chiusuristi e aperturisti: qualcosa che, quando le scuole son chiuse, ne prenda il posto. Una volta c’erano programmi radio che integravano le lezioni scolastiche e trasmettevano lezioni di letteratura, lingua straniera, scienze, storia, eccetera: perché lo Stato, anche oggi, non fa il suo e pensa a qualcosa di analogo non soltanto sul web, ma anche sulle grandi reti tv generaliste? Specialmente se la chiusura dovesse durare fino a non si sa quando? Il ragazzo orfano della scuola può sentire lezioni sostitutive di quelle che sentiva a scuola. O anche migliori. L’importante è seminare, nel suo cervello.