Botta e risposta. L'impegno delle comunità per minori e le ingiustizie da riparare
Caro direttore,
sono il presidente del Coordinamento nazionale delle Comunità per i minorenni, al quale aderiscono circa 100 enti che gestiscono all’incirca 250 comunità d’accoglienza, distribuite su tutto il territorio nazionale. Le scrivo, anche sollecitato da diversi soci, in merito agli articoli pubblicati sul suo giornale, che riportano situazioni di ingiusti allontanamenti di minorenni dal nucleo familiare. Non posso entrare nel merito delle situazioni riportate, però vorrei controbattere in merito ad alcuni giudizi riportati dall’autore dell’articolo, che rischiano di riproporre quei pregiudizi e attacchi di cui già il nostro mondo è stato vittima negli scorsi anni da altre testate giornalistiche, mentre la sua ha una tradizione di correttezza.
Prima di tutto va smentito il fatto che non esistono dati su quanti sono i minorenni fuori famiglia: le Regioni, faticosamente, è vero, raccolgono i dati sui minorenni in affidamento, che sono circa 15mila, di cui più della metà sono affidati a parenti, quindi permangono, come loro diritto, nell’ambito della famiglia di origine. Più precisa la raccolta dei dati dei minorenni in comunità, in quanto queste sono obbligate a inviare semestralmente alle Procure Minorili una scheda per ogni minorenne ospite, in cui vengono riportati diversi dati.
L’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, in accordo con le Procure minorili di tutta Italia, ha iniziato dal 2014 a pubblicare report sui minorenni accolti nelle comunità, proprio elaborando i dati inviati alle Procure Minorili. I report sono sul sito dell’Agia, a disposizione. Ci sono circa 3.300 comunità con una media di circa 7 minorenni ospitati per un totale di circa 21mila minorenni, di cui circa 7mila minori stranieri non accompagnati (Msna).
Sono dati che permettono di avere un quadro chiaro sul mondo dell’accoglienza dei minorenni. Adottabili sono pochissimi e sono molti quelli che rientrano in famiglia. Altra immagine che ritengo infelice è quella sui minorenni 'parcheggiati' nelle comunità. Forse sarebbe opportuno non generalizzare. Tra noi sicuramente qualcuno non lavora in maniera adeguata, come avviene tra i giornalisti che non approfondiscono e sono generici, o tra i giudici che sono lenti a decidere, o tra i servizi sociali o in tante altre professioni. Lei sa bene che molte realtà che fanno accoglienza provengono dall’antica tradizione della Chiesa cattolica che da sempre si è fatta attenta alla protezione dell’infanzia. Vi è un altro aspetto che sembra a noi importante: nell’articolo ho notato la volontà di criticare le case-famiglia, che sono tra le poche superstiti del mondo del welfare che in questi ultimi decenni si è volontariamente distrutto. Noi ci chiediamo che cosa si fa a livello locale e nazionale per prevenire il disagio in particolare dei minori in Italia? Uno sguardo veloce sull’Europa ci fa vedere che in Italia il sostegno ai minori è il fanalino di coda delle politiche sociali. La povertà in Italia infatti è soprattutto infantile.
E questo pone degli interrogativi profondi sul futuro del nostro Paese. Noi vogliamo partecipare a un dibattito sulle Case-famiglia per minori, sulle politiche riguardanti la lotta alla povertà infantile, sul sostegno ai nuclei familiari fragili... ma il dibattito deve essere serio e non ideologico e deve tenere conto e saper dare voce alle esperienze positive che si sono vissute in questi anni e che faticosamente vanno avanti anche oggi.
Giovanni Fulvi, presidente Cncm
Caro presidente Fulvi,
sono molto contento che il nostro Direttore mi abbia passato la sua lettera, offrendomi l’opportunità di riprendere con lei un tema che ci sta molto a cuore, come del resto sa bene, visto che ci siamo confrontati in varie occasioni. Non devo quindi ricordarle, vista l’attenzione con la quale segue ciò che scriviamo, le decine e decine di pagine dedicate ad approfondire il tema. Più e più volte abbiamo offerto a magistrati, psicologici, assistenti sociali, responsabili di comunità d’accoglienza per minori l’opportunità di spiegare il loro punto di vista. Non abbiamo pregiudizi e preclusioni e siamo assolutamente consapevoli che la maggior parte dei professionisti e degli operatori impegnati in questo delicato settore a tutela dei bambini e dei ragazzi più fragili e più sfortunati lavora con impegno e capacità. Ricorderà di certo che nel momento del massimo attacco “politico” alle Comunità per minori, alle Case Famiglia, noi di “Avvenire” abbiamo speso la nostra capacità informativa e la nostra opinione, al massimo livello, per smontare quella campagna di generale e generica denigrazione. Purtroppo, come lei riconosce, esistono anche situazioni meno trasparenti, casi in cui ci si chiede come è possibile da parte del “sistema” mettere in secondo piano il ruolo e i diritti delle famiglie d’origine. Noi cerchiamo di dare voce anche a questi genitori senza voce. A mamme e papà distrutti dall’allontanamento spesso coatto dei figli. Allontanamento che viene deciso soprattutto quando le vicende in questione non mostrano né coerenza giuridica, né attenzione alle relazioni affettive, né rispetto per la dignità delle persone. Ogni giorno, soprattutto da quando, all’inizio di agosto, abbiamo avviato una nuova inchiesta con il racconto delle esperienze più dense di sofferenza, molti genitori “orfani” di figli si mettono in contatto con noi. Sono decine e decine.
Se soltanto in meno della metà di questi casi – anzi nel 10% – ci fossero davvero «disattenzioni giudiziarie » come denunciano queste famiglie o interventi scarsamente meditati da parte dei servizi sociali, ci sarebbe da rabbrividire. Ma le critiche, quando ci sono state, non sono mai indirizzate né ai giudici, né agli assistenti sociali e neppure alle comunità d’accoglienza, ma appunto a un “sistema” ormai inadeguato per strutture e per “cultura”. È impensabile per esempio che la tutela del minore non vada di pari passi con il sostegno reale e fattivo delle famiglie. Ultimo accenno ai dati, visto che anche lei ne parla. Sappiamo certamente che nel 2019 la stessa Garante per l’infanzia ha presentato un dossier con alcuni dati relativi ai minori in comunità. E che da quel lavoro risultavano presenti nelle circa 3mila comunità italiane (i numeri si riferiscono al 2016–2017) 13.358 minori stranieri e 16.210 italiani.
Ma la stessa Garante ha fatto presente l’impossibilità di avere dati aggiornati e precisi perché le “Linee di indirizzo per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni” non stabiliscono le stesse categorie per la definizione delle comunità sul territorio nazionale. Ogni Regione insomma fa da sé. E «tale criticità – scriveva nel dossier Filomena Albano – si riversa inevitabilmente sulla raccolta dei dati, stante la difficoltà, per le Procure presso i Tribunali per i minorenni, di reperire dettagliate informazioni in ordine alla tipologia di struttura nella quale il minorenne è inserito». Quindi, più che dati, stime. Conosciamo anche il motivo.
Nel nostro Paese non esiste un registro nazionale dei minori in comunità. Il “Sistema informativo nazionale sui bambini e gli adolescenti” (Sinba) – è sempre l’Autorità garante a sottolinearlo – è, a tutt’oggi, ancora in fase di sperimentazione. Non si tratta soltanto di conoscere il numero totale dei bambini in comunità. Quanti sono quelli che, dopo essere stati allontanati per un provvedimento giudiziario, magari rivelatosi inadeguato, tornano alle loro famiglie? Per quanti si apre la strada del decreto adottivo? Non lo sappiamo. Ma se non c’è uniformità nella definizione delle varie comunità, non c’è neppure nelle tariffe che Comuni e Regioni versano per ogni bambino ospitato. Anche questa è una babele. Sappiamo che si va dal 50 ai 400 euro al giorno sulla base di variabili che neppure il Ministero conosce nel dettaglio, se lo scorso luglio è stata votata la legge che, su proposta di Stefania Ascari (M5S), componente della Commissione giustizia della Camera, avvia una nuova inchiesta parlamentare sulle comunità d’accoglienza per minori e sul mondo che gira intorno a questa emergenza. Speriamo che sia la volta buona per fare un po’ di chiarezza. Lo dobbiamo ai bambini e alle loro famiglie. Ma anche a tutti coloro che – certamente come la maggior parte delle vostre comunità – lavorano con onestà e competenza per alleviare quelle sofferenze.