Una parola. L’identità apre alla relazione non usiamola come uno scudo
Identità è una parola che torna spesso nei miei scritti, e confesso che vederla utilizzata nelle sue accezioni tossiche mi trasmette il senso di quanto all'epoca in cui Babele viene annoverata tra i ricordi di uno ieri arcaico sia difficile una lingua comune, perlomeno nei suoi riferimenti semantici. La identità che intendo è una mirabile intelaiatura aperta alla relazione, gemella diversa della coscienza, nostra peculiarità che mai potrà essere mutuata dalle tecnologie, interfaccia che apre al mondo regalandoci l'incontro, scrigno di altrettante identità per quanti sono gli esseri umani.
Senza identità il dialogo non avrebbe senso, senza identità saremmo unicamente curiosi meccanismi che deambulano su una terra avara di empatia, trionfo della legge naturale. L'identità ci permette di creare dighe e ponti, ci permette di invertire la direzione dell'istinto, ci consente di amare. Trovo incredibile che quotidianamente siano in molti a rinunciare a tutto questo, trasformando la preziosa identità in uno scudo ideologico che separa dagli altri, vessillo di superiorità ostentata senza pudore. Blindati di niente, corazza che raccoglie in sé paure ataviche e sicurezze illusorie di supremazie inesistenti che permette di affrontare il mondo, gli altri, con la supponenza del proprio sopravvento.
Questa identità non è valore, è un feticcio artificioso e inesistente, uno schema mentale che ha l'unica funzione di ottundere lo spirito e chiamare a battaglie che si rivolgono inevitabilmente contro chi le scatena. La identità è porosa, osmotica, una pelle che assorbe e restituisce, organo delicato e potente. Non è mai definita una volta per tutte, è corpo che abita il nostro corpo, intrisa di fisiologie meravigliose, muta nel tempo, si ammala, guarisce, è in grado di generare quando si incontra con altre identità fertili, crea pensiero nuovo e prepara il domani di speranza.
La identità non va difesa, va spesa nella scommessa mai priva di rischi che compromette con umanità, nella assunzione di responsabilità che non si delega, va distribuita senza remore, a volte va sacrificata. I due modi di intendere la identità si servono di vocabolari opposti, le azioni che generano sono traccia di umanità differenti e inconciliabili. Una aperta all'altro, che non si risparmia nel dare e nel ricevere, l'altra che chiude e opprime di supponenza ogni confronto. Una è umile, non dimessa, sfida alla storia che abbraccia sempre e comunque, l'altra è una dichiarazione di guerra al mondo, negazione ottusa e prepotente destinata prima o poi a riprodurre le tragedie del passato.
Si mimetizza dichiarando di difendere dio, ma quel dio è potere e il rinnovato apartheid che fa capolino nel mondo occidentale con tutti i suoi veleni. Dio, per chi ci crede, non ha bisogno di difese, unica vera protezione dalle identità blindate che credendo di trovarsi si perdono per sempre.