Caro direttore,ogni anno, all’avvicinarsi delle celebrazioni del 25 aprile, provo una certa frustrazione nel constatare che troppo spesso questo nostro Paese applica una memoria di tipo “selettivo” nel ricordare il sacrificio di tanti suoi figli per la liberazione dal nazifascismo. A soli 19 anni nel 1944 mi sono arruolato nel Gruppo di Combattimento Cremona, assieme a tanti giovani come me che volevano dare le loro braccia e i loro cuori per sollevare l’Italia dal tremendo stato di frustrazione in cui versava. Il nostro Gruppo di Combattimento, lo ricordo, era nato dai resti decimati della Divisione Cremona che dopo aver combattuto in Corsica per liberarla dai tedeschi era stata disarmata dai francesi e relegata ad Altavilla Irpina, pressoché in disarmo. Armati e vestiti con uniforme inglese, ma per la prima volta nel nuovo esercito italiano con il tricolore sul braccio e l’emblema della spiga, venimmo trasferiti a Teano e poi in Abruzzo e infine al fronte dove ben presto affrontammo durissimi scontri, tra paludi ed argini presidiati dall’esercito di Hitler.Dopo un terribile inverno di occupazione nazifascista, sfondammo per primi le linee nemiche ad Alfonsine.Ricordo bene quei giorni tremendi e nello stesso tempo pieni di entusiasmo mentre manovrando il mio cercamine liberavo il percorso per la colonna dei miei compagni.Venne poi il superamento del fiume Santerno, con un’azione che mi valse una decorazione al valor militare, la liberazione di Codigoro e Ariano Polesine e di tante altre località fino all’arrivo a Venezia e all’entusiastica accoglienza della popolazione felice di essere liberata dagli italiani. Tanti miei commilitoni diedero la vita per la nostra nazione; ricordo volti e nomi di parecchi di loro. Uno tra tutti, il valoroso capitano Giorgi, che morì colpito da una scheggia di granata durante l’offensiva finale e fu decorato con due medaglie d’oro e con la Victoria Cross, la massima onorificenza militare inglese. Avrebbero potuto smobilitare e aspettare gli eventi a casa o in qualche nascondiglio, ma non lo fecero. Molti riposano nel sacrario di Camerlona, presso Ravenna. Oggi, a tanti anni di distanza, mi piacerebbe proprio sapere che nella memoria storica della nostra nazione c’è un posto d’onore anche per loro.
Lamberto De Santisclasse 1925
Credo che il «posto d’onore» nella memoria comune che lei, gentile e caro signor De Santis, evoca, spetti a pieno titolo ai soldati italiani che, con grande dedizione e coraggio, si resero protagonisti della liberazione del nostro Paese dal giogo nazifascista e dall’incubo della guerra civile. I Gruppi di Combattimento ebbero, infatti, un ruolo molto importante nella riunificazione di un’Italia drammaticamente fatta a pezzi da eserciti stranieri, bombardamenti, stragi, pavidità istituzionali, contrapposizione tra il Regno del Sud e la fascistissima Repubblica di Salò, riduzione di gran parte del centronord della Penisola a campo di battaglia e – sottolineo – a teatro di mai abbastanza ricordate ed esecrate sopraffazioni e violenze sulla popolazione civile. La guerra questo produce sempre, direttamente o indirettamente, in ogni tempo e luogo. Non abbiamo ancora imparato la lezione, ma quel conflitto – persino più della “grande guerra” che aveva visto sui fronti italiani quasi eguagliarsi vittime militari e vittime civili – lo ha reso evidente una volta per tutte.Lei, però, ha ragione a parlare di «memoria selettiva». Eppure, insisto anch’io, fu davvero rilevante il contributo alla Liberazione dei sei grandi e regolarmente inquadrati reparti delle nostre rinate Forze armate (oltre al Gruppo di Combattimento “Cremona” da lei ricordato, il “Friuli”, il “Folgore”, il “Legnano”, il “Mantova” e il “Piceno”) che nel luglio del 1944 raccolsero il testimone dal Primo Raggruppamento Motorizzato, iniziale contributo alla cobelligeranza italiana contro il Terzo Reich e i suoi alleati. I militari dei sei Gruppi agirono insieme e non meno degli uomini (e delle donne) delle Brigate partigiane. Per sottolinearlo ricordo, tra l’altro, che proprio nel suo “Cremona” era inquadrata la Brigata garibaldina comandata da Arrigo “Bulow” Boldrini, poi per quasi sessant’anni presidente dell’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Se la nostra Italia, sconfitta nella guerra fascista, potè ricominciare la propria vita civile in modo democratico senza essere sottoposta al regime delle “zone di occupazione” che toccò a Germania e Austria, tutti noi lo dobbiamo anche al sacrificio di soldati come lei e i suoi commilitoni. Ogni 25 aprile sono tra coloro che lo ricordano con profonda gratitudine.Marco Tarquinio