Il direttore risponde. L’ incancellabile lezione di Marco Biagi
Caro direttore,
si commemora l’anniversario dell’assassinio del professor Marco Biagi e, da molte parti, non si vogliono ancora esaminare i fatti reali. Durante la trasmissione "La storia siamo noi", la segretaria della Cgil Camusso ha dichiarato: «Credo possa (la Cigl) aver confuso lo studioso con il governo, ma mai ha avuto in mente l’idea di avere davanti un nemico e non un interlocutore». Basterebbe aver letto i giornali di quel periodo, e il libro "Morte di un riformista" del suo collega professor Michele Tiraboschi, per rendersi conto del linciaggio morale che nella Cgil si attuò nei confronti di Biagi. Andando un po’ indietro nel tempo, si può ricordare come la Cgil (componente in linea con il Pci) agì nei confronti di un altro giuslavorista, EzioTarantelli, ucciso anche lui dalle Brigate rosse nel 1985: dopo avergli scatenato contro una campagna tremenda, si arrivò perfino al fatto che la Fiom-Cgil dell’Italsider di Genova rifiutò di aderire allo sciopero di due ore proclamato il giorno dei suoi funerali.
Ritengo che potremo guardare avanti (la considerazione è generale) solo se sapremo affrontare con onestà quello che avvenne nel passato.
Daniele De Antoni MiglioratiRitengo, caro signor De Antoni, che sia necessario saper fare i conti con il passato senza comunque rinunciare mai a guardare avanti.
Condivido, soprattutto, la valutazione del ministro Anna Maria Cancellieri: «Finalmente, dopo dieci anni, oggi Marco Biagi appartiene a tutti». E sono contento di questo, anche quando è innegabile l’imbarazzo in chi, allora, non pesò sempre (o non pesò affatto) parole e gesti nell’inevitabile confronto delle idee. Continuo, infatti, a pensare – e persino più che in quei giorni tragici – ciò che scrissi su questo giornale nell’insanguinato marzo del 2002 a proposito della splendida figura e dell’incancellabile «lezione di un intellettuale dalle idee chiare e dalla militanza trasparente, che nel nome dell’'interesse generale' non si era fatto imprigionare in gabbie di partito». Non hanno potuto mortificare tutto questo gli assassini delle nuove Brigate rosse, non possiamo permetterci di dimenticare noi. In quest’Italia che non deve rimanere prigioniera di vecchi schemi o essere schiacciata da un certo passato e dal suo peso (che è frutto di debiti, corruzione di persone e d’idee, egoismi corporativi, rinuncia alla coerenza valoriale, omissioni riformatrici). Abbiamo bisogno di uomini e donne coraggiosi e dallo sguardo profondo e lungo che siano disposti a impegnarsi nel campo esigente e difficile della buona politica.
Abbiamo bisogno di cattolici (e di laici) che – proprio come Biagi – siano capaci di coniugare l’adesione a valori alti e saldi con un appassionato servizio nella «città dell’uomo» e con una tenace e lucida visione del futuro che dobbiamo preparare.